Freedom Jazz Dance: Open Papyrus Jazz Festival 2016

Foto: Barbara Torre










Freedom Jazz Dance: Open Papyrus Jazz Festival 2016

Ivrea e Canavese. 17/19.3.2016


L’Open-Papyrus di Ivrea giunge alla sua trentaseiesima edizione con un programma ricco e articolato, come di consuetudine. L’anno in corso coincide con il trentennio di fondazione di Enten Eller, il quartetto di Massimo Barbiero con Maurizio Brunod, Giovanni Maier e Alberto Mandarini. Per festeggiare l’anniversario, la sala Santa Marta ospita una mostra fotografica riguardante il gruppo, con i magistrali scatti di Luca D’Agostino, Davide Bruschetta e Paolo Dezutti funzionali a ripercorrere un cammino lungo, diviso in tappe significative. Prima di ogni concerto serale, poi, le scuole di danza del territorio allestiscono una coreografia sulle composizioni di Enten Eller. Sono quadri scenici in cui i corpi flessibili dei ballerini si piegano alle atmosfere dolci o violente dei brani scelti, realizzando figurazioni allusive e affascinanti. Sempre sul tema dei rapporti fra musica e danza l’ultimo giorno del festival, nel pomeriggio, si svolge un convegno con la presenza di esperti dei due settori, dove si sviscerano i punti di contatto, le relazioni fra il movimento armonico, plastico e il suono intenzionalmente organizzato. Il giorno precedente si effettua, invece, nello stesso spazio, la presentazione di Sassofoni e pistole, libro di Franco Bergoglio che cerca di mettere d’accordo gli appassionati del noir con i raffinati cultori del jazz.


Dopo la parte “parlata”, il venerdì ci pensa la New Bros Jazz Gang a inondare l’ambiente con un dixieland festoso e piacevole. Il sabato, invece, scalpita, nello stesso orario, un combo di giovani promesse guidato da Alessandro Minetto, che rispolvera una serie di classici del jazz in maniera piana e corretta.


Gli appuntamenti serali si aprono a Chiaverano il giovedì con il Billy Holiday Project ad opera di un trio guidato da Maurizio Brunod, con Sonia Spinello alla voce e Lorenzo Cominoli alla chitarra, della cui esibizione non si può, purtroppo, rendere conto.


Il venerdì al teatro Giacosa, davanti ad un pubblico numeroso, si esibisce il trio di Laura Conti, artista canavesana nota soprattutto per la sua collaborazione con Giorgio Gaslini. Il trio omaggia il jazz della tradizione, delle radici, attraverso una lettura fresca e leggera di un repertorio che va da Cole Porter a Billy Holiday, da Duke Ellington a Turner Laydon. La Conti canta in modo deciso e convincente, concedendosi pure alcune sortite virtuose nello scat, dominando la scena sempre, grazie ad una tecnica sicura e ad un gusto altrettanto apprezzabile. Maurizio Verna e Simone Ghio, alle chitarre, intessono un dialogo fitto e proficuo, elaborando un tappeto sonoro bene amalgamato, su cui la vocalist può introdursi con disinvoltura. Il successo, come prevedibile, è notevole e testimoniato da applausi sinceri e continui.


Si cambia completamente registro con il set successivo. Entra, infatti, sul palcoscenico l’XY Quartet e la musica assume tutt’altre sembianze. La formazione di Fazzini e Fedrigo, co-leader a tutti gli effetti, si orienta verso un jazz contemporaneo che risente dei modelli di Tim Berne, Steve Coleman e Steve Lehman. Sull’intreccio in diagonale della voce cerebrale e smussata del sassofono contralto e quella pungente e penetrante del vibrafono si erige l’impalcatura su cui si incuneano la batteria astratta e coloristica di Luca Colussi e il basso costruttivo, concreto di Alessandro Fedrigo. Il sound complessivo, asimmetrico e intellettuale, testimonia la grande intesa fra i quattro. La proposta è certamente stimolante, ma non delle più abbordabili. Spettatori ricettivi e disponibili, ad ogni buon conto, accolgono il concerto con ripetuti applausi e la richiesta di un bis.


Il sabato si celebra un’altra reunion. A ventitre anni dalla registrazione del disco dedicato al songbook di Luigi Tenco, tre personalità di spicco del jazz italiano tornano ad esplorare le opere dello stesso cantautore, vale a dire Tiziana Ghiglioni, Umberto Petrin e Gianluigi Trovesi. La cantante savonese tratteggia con tinte drammatiche i pezzi, accentuandone gli aspetti dolenti e tormentati. La Ghiglioni, infatti, riesce ad infiltrarsi negli anfratti dei testi, sottolineandone il senso profondo e angosciato, pure attraverso un’attenta cura dell’intensità del suono, avvicinando, all’occorrenza, o allontanando da sé il microfono per ottenere l’effetto voluto. Petrin è un solido puntello per il terzetto. Con il suo strumento, il pianista vogherese reinterpreta le canzoni di Tenco, assecondando le intenzioni espressive della partner. Si può affermare che la tastiera vibri sulla stessa lunghezza d’onda della voce. Trovesi, da parte sua, interviene per avvicendare il canto o commentare con contributi pregnanti, per mezzo del sax o del clarinetto contralto, quanto messo in circolo dai due compagni di avventura. In fin dei conti si tratta di una specie di scavo appassionato a sei mani nei confronti del mondo espressivo del cantautore di Ricaldone. Non manca un’intrusione inaspettata, con una versione trasudante pathos di Lonely woman di Ornette Coleman. È un’operazione globalmente sagace, intrigante, che conquista affatto la platea del Giacosa.


L’ultimo concerto vede il debutto a Ivrea del premiatissimo Tinissima quartet di Francesco Bearzatti, gruppo la cui fama supera di gran lunga i confini nazionali. L’intera esibizione si basa sull’ultimo cd inciso dai quattro, intitolato This machine kills the fascists, dedicato alla mitica figura di Woody Guthrie, folksinger americano conosciuto per il suo impegno sociale e le sue idee progressiste. Su una base rockeggiante, con echi country, passaggi nel dixieland, nel blues o in uno swing tirato a mille, si materializza il colloquio straordinariamente empatico fra la tromba infuocata e scintillante di Giovanni Falzone e il sassofono discorsivo, fluido, pronto a salire di temperatura fino al punto di fusione, di Francesco Bearzatti. Il trombettista si muove sulla scena da vero istrione, si accompagna con vocalizzi, tenta di trascinare gli spettatori dalla sua parte invitandoli a battere le mani e a cantare. Gli altri del “Tinissima” sono meno showmen, ma è la musica a dare spettacolo, a dimostrazione che il jazz o suoi contigui e derivati se fatti ottimamente, come in questo caso, sono in grado di arrivare a chiunque abbia orecchi capaci di ascoltare.


Ogni sera, infine, il dopofestival regala ancora jazz ai nottambuli in prossimità della stazione ferroviaria. Per tre giorni, grazie al lavoro e alla tenacia del direttore artistico Massimo Barbiero e dei suoi instancabili collaboratori, Ivrea diventa centro di importanti convergenze fra varie forme artistiche, esaltando le risorse del territorio e offrendo visibilità a personaggi che, spesso, non trovano spazio in altre rassegne più reclamizzate, ma non per questo più valorose.