Incoerentissimo. Il solo di Eugenio Colombo

Foto: Fabio Ciminiera










Incoerentissimo. Il solo di Eugenio Colombo

Giulianova, Ristorante Arcobaleno – 2.4.2016

Eugenio Colombo: sassofoni, flauto


Per certi aspetti, raccontare un concerto in solo condotto in maniera libera sul flusso delle improvvisazione, è come riportare un dialogo avvenuto in un ambiente protetto, tra amici. Al termine della performance, lo stesso Eugenio Colombo ha messo in evidenza la necessità di non lasciarsi condizionare – se non in minima parte – dalla forma e dalle implicazioni di un tema, per interagire con l’ambiente, per interpretare le sue condizioni, per “imporre” una coerenza al filo logico delle frasi.


Una performance rigorosa, acustica, attenta a combinare timbri e riflessi. Eugenio Colombo riprende le parole di Giancarlo Schiaffini per tradurle in una pratica. «L’improvvisazione non si improvvisa» ma si conquista passo dopo passo e, soprattutto, si muove in ogni direzione, fedele semmai al “precetto” di una libertà espressiva intenta ad utilizzare ogni elemento, capace di servirsi di ogni mezzo per trasmettere emozioni e significati. E non è, forse, un caso il fatto che il concerto si apra con un momento di forte impatto visivo e sonoro come quello che vede Colombo imbracciare e suonare contemporaneamente tenore e soprano. Alle volte serve farsi sentire, serve alzare il volume, potrebbe essere la chiosa all’esecuzione del primo brano. Serve a sottolineare l’inizio del concerto, a ridefinire il contesto sonoro dove si sviluppano le idee, serve a creare lo spazio per dare vita ad un pianissimo come quello creato semplicemente percuotendo fori e tasti del flauto. Un gioco tra ambiente, musicista e spettatori: un gioco sottile e spiazzante, fatto di strappi e suggestioni, animato da riferimenti alla musica colta, alle avanguardie e al jazz, innervato dalla necessità di portare alla luce il flusso delle emozioni e dei pensieri attraverso la musica, i rumori, il silenzio, le voci e i respiri degli strumenti.


Incoerentissimo in realtà possiede la libertà e, se si vuole, la spensieratezza evocata dall’aggettivo utilizzato come titolo. La dimensione assoluta del superlativo rivela autoironia ma, allo stesso tempo, mette in guardia lo spettatore, lo invita ad aspettarsi di tutto o, al contrario, a non dare nulla per scontato.



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