Floating Forest – 2016
Davide Merlino: vibrafono, steeldrum, metalli
Giulio Tosatti: vibrafono, percussioni
Davide Merlino torna a misurarsi con un altro collega di strumento in un duo denominato ancora una volta Vibraphonic. Dopo aver incrociato le bacchette con Pasquale Mirra, personaggio legato a gruppi di ricerca in ambito jazzistico, questa volta il musicista piemontese si confronta con il giovane Giulio Tosatti, suo conterraneo e collaboratore nella band Waikiki.
Il precedente cd, Space Frogs, si alimentava del contrasto fra le voci dei metallofoni, avvantaggiandosi di questa sfida fra i due protagonisti nel cercare qualcosa di inedito, di trascendentale, sul piano timbrico innanzitutto. Era proprio l’investigazione sul suono a determinare prepotentemente i percorsi di Mirra e Merlino e a farli convergere nel tentativo di esplorare le loro attrezzature, per ricavarne inusitate sonorità. In Pulsar, invece, non si sviluppano queste dinamiche di analisi, di sondaggio del mezzo selezionato per fare musica, allo scopo di produrre qualcosa di diverso, di inascoltato. Piuttosto si realizza uno scambio di impulsi, di battiti (pulsar, appunto) atto a congegnare un disegno comune, a servizio di composizioni, anche estemporanee, corrispondenti, concordanti.
Il cd contiene motivi semplici, che si ripetono e si arricchiscono di dettagli, si espandono, nella loro evoluzione, come cerchi nell’acqua provocati dal lancio di un sasso. I temi sono ritmicamente definiti con parti chiaramente danzabili. L’accompagnamento di percussioni di metallo, poi, contribuisce a creare richiami ad un etno-folk orientaleggiante, rivissuto, però, da una mentalità europea in una sorta di riappropriazione di radici antiche, lontane nello spazio, ma vicine alla sensibilità della coppia “vibraphonica”.
In alcuni brani si trovano sequenze rumoristiche, o meglio si arriva al suono partendo da qualcosa di indistinto, di confuso armonicamente, come conclusione di un processo progressivo di riscoperta. Si transita da forme libere disarticolate, cioè, gradualmente agli stilemi di un nu-jazz acustico di felice impatto, insomma.
La traccia migliore dell’album è Vico, aperta da colpi sparsi di percussioni allo stato brado, che sembrano faticare inizialmente a mettersi insieme per confluire in un discorso unitario. Piano piano si fa strada una melodia che prende fisionomia e corpo nel dialogo fra i due musicisti. Si va avanti così su un tempo lento, a contemplare paesaggi incantati, a tratteggiare atmosfere sospese e sognanti, fino a che il ritmo sale e tutto diventa più appuntito e agitato. Il finale ci regala ancora sequenze lievi e cogitabonde, appena perturbate da qualche passaggio meno disteso.
Pulsar, a conti fatti, è un album all’altezza delle migliori produzioni del leader di Mu, solare e facile all’ascolto, bene architettato e con la qualità tipica dei prodotti scelti di artigianato-creativo.