Francesco Bettini. I 18 anni del Jazz Club Ferrara

Foto: Domenico Tattoli










Francesco Bettini. I 18 anni del Jazz Club Ferrara


Si apre in questi giorni la nuova stagione di concerti del Jazz Club Ferrara. Un’edizione importante visto che segna l’ingresso nella “maggiore età” della rassegna ospitata nello storico Torrione San Giovanni. Abbiamo chiesto a Francesco Bettini, direttore artistico del club, di condurci all’interno del programma della nuova stagione.



Jazz Convention: In primo luogo, i diciott’anni della rassegna al Torrione. Immagino sia, allo stesso tempo, un traguardo e un nuovo punto di partenza…


Francesco Bettini: Hai colto nel segno. Quando si organizzano concerti da diversi anni con questa continuità e quantità di produzioni, non fai in tempo a gioire della stagione appena conclusa che sei già proiettato a quella successiva. Immagino che funzioni allo stesso modo in un circuito, quando attraversi il traguardo solamente per intraprendere il giro successivo nel miglior modo possibile. Tra poco inizia il diciannovesimo giro…



JC: Il cartellone è il primo biglietto da visita per un club. Cosa racconta il nuovo programma all’appassionato e a chi si avvicina per la prima volta al jazz?


FB: All’appassionato racconta che ci sono numerose occasioni di ascolto con cui misurarsi. Gli si chiede di farlo anche quando non le conosce, o non incontrano il proprio specifico gusto musicale. Al neofita consiglia di essere curioso: gli chiede di avere fiducia, in modo da lasciarsi prendere per mano e farsi condurre lungo un crocevia di linguaggi di differente provenienza geografica, determinati da molteplici influenze. In entrambi i casi, affiancando proposte diverse, il nostro obiettivo è quello di stimolare un interesse ad ampio raggio.



JC: Nella scelta dei nomi internazionali, avete scelto tanto interpreti che si muovono in maniera varia nel mainstream che musicisti rivolti a nuove prospettive del linguaggio jazzistico. Quali sono state le linee principali seguite nel disegno del programma?


FB: Alla luce di quanto appena affermato, il programma non è frutto di un disegno specifico. Esistono invece delle linee guida su come sono generalmente impostate le serate. Di venerdì e sabato, ai concerti tout court è accostata la possibilità di cenare al Club, mentre al lunedì il quadro è più informale: prevede un aperitivo a buffet accompagnato da differenti selezioni musicali, che anticipa il concerto seguito da jam session. Alcune serate sono ad ingresso a offerta libera, altre prevedono un biglietto; proponiamo quindi un differente approccio alla fruizione in modo da andare incontro alle esigenze di un sempre maggior numero di persone.



JC: L'”animo sperimentatore” si ritrova anche – e, se si vuole, ancora di più – all’interno delle sezioni che si affiancano al programma principale (Nuovi itinerari musicali, presentazione di dischi e progetti in costruzione, gli appuntamenti divulgativi). Come sono nate, via via, queste sezioni e come sono organizzate quest’anno?


FB: Nelle serate più “giovani” del lunedì – firmate “Monday Night Raw” – si osa generalmente di più e si cerca di proporre al pubblico, che ha un’età media più bassa ed è costituito da un numero maggiore di musicisti e addetti ai lavori, un taglio musicale di maggiore attualità che non preveda necessariamente la presenza di artisti estremamente noti, ma che guardi soprattutto alla scena nazionale ed europea. Quello che ci interessa maggiormente è che si mantenga un ambiente favorevole allo scambio di idee. Il Torrione si è dimostrato, in questo senso, un luogo fertile che ha generato sia direttamente che indirettamente numerosi progetti musicali. Un’altra sezione – battezzata “Somethin’Else” – ci permette di incrociare pubblici dal background differente, proponendo concerti non necessariamente di derivazione jazzistica. Quest’anno, per esempio, si passano il testimone interpreti vocali molto diversi tra loro come Ginevra Di Marco, Simona Severini, Camilla Battaglia, Daniella Firpo, John De Leo e Karima. A queste “rassegne nella rassegna” si aggiungono le attività multidisciplinari, come le esposizioni fotografiche e pittoriche, la presentazione di saggi musicologici, gli spettacoli multimediali in cui alla musica si affianca il teatro e altre espressioni artistiche. Sono inoltre previste numerose attività didattiche in collaborazione con il Dipartimento Jazz del Conservatorio di Ferrara, e altre nate internamente come la riedizione di “The Unreal Book”, un ciclo di appuntamenti in cui si approfondisce la pratica dell’improvvisazione.



JC: Tra l’altro negli scorsi anni, se non ricordo male, c’era anche una sezione che portava alla scoperta di altri paesi attraverso l’unione di cucina e musica, l’incontro tra ricette e sonorità.


FB: Sì, l’abbiamo proposta per due stagioni consecutivamente e ha ottenuto un ottimo riscontro, ma abbiamo deciso di cambiare rotta, anche se quest’anno una certa vocazione etno-musicologica permane in parte nelle serate di “Somethin’Else”.



JC: Com’è nata l’idea della Tower Jazz Composers Orchestra, l’orchestra residente del Jazz Club Ferrara?


FB: Siamo molto orgogliosi di avere una sorta di big band stabile che si pone come laboratorio permanente di composizione, arrangiamento e, ovviamente, di pratica orchestrale. È nata proprio dai seminari di “The Unreal Book” e dai combo che da questi sono scaturiti ampliandosi fino a raggiungere la dimensione orchestrale. Da lì il passo è stato breve: è bastato che il gruppo di lavoro si strutturasse maggiormente e avesse la possibilità di provare e esibirsi con continuità almeno una volta al mese.



JC: Questi due filoni del programma (sezioni e Tower Jazz Composers Orchestra) conducono a un rapporto costante con la scena emergente, una sorta di monitoraggio delle novità e dei musicisti che iniziano oggi a sviluppare il loro percorso. Quanto è importante per un direttore artistico attivare queste “antenne” e non fermarsi alle soluzioni consolidate?


FB: Importantissimo, specie per scoprire un musicista o un gruppo che non è mediaticamente esposto, come la stragrande maggioranza dei giovani. Oltretutto un ingaggio molto spesso viene dato attraverso la conoscenza diretta, magari proprio in occasione di una jam session al Torrione.



JC: Il Jazz Club Ferrara collabora ormai stabilmente con diverse realtà del territorio. Prosegue, ad esempio, il legame con il Bologna Jazz Festival – e non potrebbe essere altrimenti – e, immagino, anche quello con Crossroads. E, a queste, si affiancano anche le connessioni con il Festival internazionale di fumetto BilBOlBul ed altre. È un modo per portare concretezza alla necessità di fare rete, tante volte decantata ma, poi, spesso poco applicata.


FB: Fare rete è fondamentale. Bisogna farlo non solamente in funzione dei reciproci interessi, ma anche e soprattutto con un progetto vero e coordinato. Siamo ovviamente molto contenti delle collaborazioni in atto che non si limitano ai soggetti citati, ma si estendono anche a Ferrara Musica e Teatro Off, altri due importanti tasselli del tessuto culturale della città.



JC: Un aspetto che mi preme sottolineare è la presenza nel programma di diversi musicisti europei: nonostante il loro valore e la riduzione sistematica delle distanze nel nostro continente, spesso è difficile trovarli nei programmi dei festival e, ancor più, nei club. Come avete proceduto negli anni in questa direzione? E quali reazioni avete incontrato nel pubblico?


FB: Le distanze si riducono sempre più e non solamente quelle tra Italia e continente americano, va da sé che sia oggi molto più semplice e diretto guardare all’Europa. Il fatto che sia cresciuta la presenza di musicisti europei nel palinsesto del Torrione dipende però anche da due fattori. Il primo è che sempre più spesso musicisti italiani innescano collaborazioni con musicisti di altri paesi europei. Tanti sono quelli che suonano e frequentano la scena londinese, parigina, berlinese, di Bruxelles, Lisbona e anche dell’Europa dell’Est o di quella del profondo Nord. Il secondo è che, in taluni casi, alcuni paesi attuano una politica di esportazione dei propri talenti agevolandone la circuitazione su scala europea. Questo purtroppo avviene prevalentemente in una sola direzione, ossia dall’estero verso l’Italia. Da noi questo processo comincia a muoversi solamente in ambito formativo (vedi i progetti Erasmus) e si possono contare sulla punta delle dita le tournée agevolate dal supporto delle istituzioni.



JC: Una buona percentuale di concerti prevede un ingresso ad offerta libera. Immagino che sia un modo anche per far sentire il pubblico parte in causa del progetto generale del club.


FB: In parte sì, ma anche per agevolare l’accesso al Torrione ai giovani “squattrinati” o a chi ci si imbattesse casualmente.



JC: E, infine, quali sono le sensazioni che, alla fine di un concerto, ripagano di tutti i pensieri e gli interrogativi e gli imprevisti che si incontrano ogni volta che si entra nel locale nel primo pomeriggio per accogliere i musicisti che suoneranno la sera?


FB: Appena i musicisti salgono sul palco, in un certo senso si conclude il lavoro iniziato mesi prima, a partire da quando si è stabilito l’ingaggio. La sensazione è sicuramente catartica, ma dura il tempo di una bella serata, poi l’indomani si è nuovamente in pista, molto spesso con poche ore di sonno e altrettanto spesso con i postumi del party della sera precedente. Descritto così potrebbe essere considerato un lavoro usurante, ma finché ci si diverte, si hanno grandi soddisfazioni, si continua a sognare guardando avanti e contemporaneamente ad arricchire il proprio bagaglio di esperienze. In realtà si può affermare che l’attività del Jazz Club Ferrara aiuti a mantenersi giovani, spericolati, idealisti e tutto sommato piuttosto in forma.



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