Vendemmia Jazz. InCantina IX Edizione

Foto: Graziella Rimondo










Vendemmia Jazz. InCantina IX Edizione

16/18.9.2016


A metà settembre, nell’alto monferrato ovadese, si tiene, da nove anni, una rassegna nata all’insegna dell’abbinamento di musica jazz e prodotti enogastronomici del territorio, quest’anno sottotitolata “InCantina”. Il festival ha dimostrato come sia ancora possibile realizzare manifestazioni di qualità con mezzi economici modesti, uniti ad una grande passione. Preziosa rassegna, ideata e cocciutamente perpetuata negli anni da Gino Gaggero, con la collaborazione di Antonio Marangolo nella duplice veste di Direttore artistico e assiduo frequentatore del palco, quest’anno ha proposto un fine settimana ricco di buona musica e vino di qualità. Dopo alcuni anni di obbligatorio ridimensionamento, una sola data lo scorso anno «per non interrompere quella che speriamo diventi una piccola tradizione», quest’anno abbiamo assistito a 3 concerti di ivello, “ospitati” da alcuni produttori vitivinicoli nelle loro aziende. La tenacia nel voler proseguire e un contributo della Fondazione CRA di Alessandria che ha creduto, ora come nel 2015, nella bontà dell’iniziativa, hanno premiato gli organizzatori.



Rosa Brunello Y Los Fermentos


Venerdì 16 ottobre, ospitata nell’antica tenuta i Pola, sale sul palco il quartetto Los Fermentos, guidato da Rosa Brunello, con il repertorio tratto della recente pubblicazione del pregevole Upright Tales, licenziato dalla Cam Jazz. Uscita recente, di cui rendiamo conto in altra sezione della rivista, ma incisione risalente ad un anno fa, nel corso del quale Brunello, Boato, Vignato e Colussi (questi i componenti), hanno avuto tempo e modo di migliorare il proprio interplay, continuare a conoscersi, acquistare fiducia reciproca e nel repertorio per mettere a punto una propria idea di quartetto. Tale gap è risultato evidentissimo fin dall’apertura con il pizzicato della Brunello e il grufolare di Vignato ad introdurre il lirico tema di Vertiges, dirge “battagliero” tra Coleman e l’Haden della Liberation. Primo assolo concentrato e passionale della leader che duetta con Colussi. Torna il tema e si apre un nuovo spazio in duo basso-batteria, poi ancora un interludio del drumming leggero, fantasioso ed efficace di Luca Colussi, subito raggiunto da Boato in un sapido duetto. Nell’incisione l’assolo di batteria e il duetto Colussi-Vignato non ci sono, a dimostrazione del lavoro svolto per migliorare ed espandere i brani ma anche del timore, loro o del produttore, di confezionare un album con pochi brani o poca musica. Nell’incisione, il bravissimo Luca Colussi è sempre come su un piano diverso rispetto agli altri, mentre dal vivo la sua presenza è intesa con i partners sono tangibili e determinanti. Il quartetto di Rosa Brunello è, senza tema di smentita, una delle migliori formazioni in attività nel continente, sia per il valore dei singoli componenti, che per la padronanza assoluta di un linguaggio jazzistico aggiornato Si evidenzia ancora la grande energia sempre unita ad un lirismo prezioso, carattere che accomuna i quattro “Fermentos”. Vignato ben conosce il trombone moderno di Blaser e Mangelsdorf e Brunello è esperta di Haden e Mingus, ma quello che emerge è una originalità di approccio alla storia e contemporaneità di questa musica che li avvicina alle migliori formazioni del nord Europa Il contrabbasso di Rosa Brunello non è mai statico e non si limita ad accompagnare. È, invece, un impulso constante e orientante. Il drumming originale, leggero e attentissimo di Colussi pare indispensabile quanto insostituibile nel discorso collettivo.


Ylos è aperto dalla cadenza Haden-mingusiana del contrabbasso che con un arpeggio segnala l’inzio del tema di due note fugate tra flicorno e trombone. Brano quasi immoto e liquido, illuminato da un magnifico solo di Boato. E poi ancora il brano neoboppistico Dietro Tonolo qui eseguito con la giusta energia. Se l’ascolto del disco lasciava presagire una formazione eccellente e una musica fresca, il concerto supera le aspettative ponendo a chi scrive non poche domande riguardo all’importanza dell’aspetto produttivo fonico. (AG)



Achille Succi/Mario Marzi Duo. Bach In Black


Gustosissimo, intelligente duo di ance reso possibile da un virtuosismo sicuro, mai spettacolare o fine a sé stesso da parte di due musicisti curiosi e diversamente creativi, orientato all’improvvisazione delle musiche di tradizione afroamericana. Achille Succi è ben noto per la sua partecipazione a tanti ensemble di prestigio, di formazione accademia ed eurocolta. Mario Marzi, un altro eccezionale virtuoso, richiesto dalle migliori orchestre sinfoniche italiane con una ventennale collaborazione con il Teatro alla Scala e la sua Filarmonica, ha accettato l’invito di Achille Succi per un viaggio temporale che ha in Johann Sebastian Bach e il Rova Saxophone Quartet due possibili estremi. Il concerto ha luogo nella splendida cornice delle colline dell’ovadese, ospitato nell’ampio salone dei padroni di casa, per un improvviso temporale, nella tenuta La Gioia di Rocca Grimalda. Tutti gli arrangiamenti e trascrizioni per l’insolito duo sono a firma di Succi, ma la coesione e coerenza sono alte. Il concerto si apre su suoni altri, gracchianti e urlati, con il timbro del contralto alterato per l’introduzione di un oggetto nella campana, Succi si produce, a questo punto, in acuti inpensabili su un clarinetto basso. Poi, gradualmente, la musica bachiana prende corpo, talvolta sopravvanzando l’altra. Il dialogo tra i due strumenti e i due linguaggi è costante e coerente. Schiocchi d’ancia, note multipe e uno swing sottopelle sono alcuni dettagli rivelatori del progetto musicale, concettualmente semplice quanto tecnicamente ed espressivamente infido e rischioso. Rischi di cui Marzi è ben cosciente tanto da esplicitarli candidamente in questa che è la prima esecuzione di una musica, forse nata anche per gioco, ma di grande finezza e bellezza.


Nel secondo brano, come nel proseguio del concerto, il contributo bachiano è costante e, perlomeno per chi scrive, persino troppo presente. D’altro canto l’idea qui è di mischiare le carte, mantenendo i diversi livelli del discorso tutto sommato riconoscibili. È, in sintesi, un sentito e sincero omaggio all’arte bachiana. Nel tema di danza (una sarabanda) che segue, ammiriamo l’intonazione impeccabile e il suono pulitissimo di Succi sui sovracuti sul clarinetto basso. Nella seguente Invenzione a tre voci, il soprano di Marzi conduce la linea principale, ma poi il contrappunto è come “intaccato” da una contemporaneità inevitabile e la ferrea costruzione bachiana lentamente si sfalda per tornare in seguito. In questo continuo avvicendarsi di situazioni, la musica proposta trova il suo fondamento progettuale ed espressivo. Il corpo centrale del progetto è rappresentato da diverse parti della suite per violoncello solo n.4; scelta fortunata, centrata e quasi ineluttabile. Si individua, principalmente, una sola linea melodica sulla quale costruire un sapiente contrappunto per mezzo di uno strumento nel registro medio grave, assimilabile al sassofono baritono di cui Marzi è virtuoso. I temi di danza che compongono le suite bachiane sono adatti ad una musica che con il corpo e la danza ha sempre intrattenuto rapporti strettissimi. Nel Preludio, Marzi esegue l’arpeggio che lo caratterizza e Succi esegue una melodia nella regione acuta del clarone. Dalla stessa suite n.4 si sentono in seguito anche la sarabande, l’allemande e la courande a dimostrazione di una ricchezza di invenzione inesauribile. Nell’estratto dalla suite per violino solo. Marzi espone la melodia in solitaria. Questa linea volge abilmente in una frase ripetuta diventando come un vamp di basso sul quale Succi può agevolmente improvvisare con fraseggio, accenti e produzione del suono del tutto jazzistici. Pubblico entusiasta per una proposta intelligente e godibilissima, eseguita in souplesse, tecnica da virtuosi e bello stile. Contributo non secondario concedono il luogo raccolto, l’assenza di amplificazione e l’accoglienza calorosa dei padroni di casa (AG)



Antonio Marangolo Reunion Trio (con Ares Tavolazzi ed Ellade Bandini)


«Questa sera non chiamatemi Antonio, bensì Aristotele, per essere alla pari con i miei partners che hanno nomi di origine greca, Ares ed Ellade…» comincia così, sul filo dell’ironia, la serata e il clima si dimostra da subito amichevole e complice. I tre musicisti, compagni di tante avventure pure in ambito rock e cantautoriale, hanno voglia di stare insieme, di incrociare ancora una volta gli strumenti, dopo aver inciso Nostos, disco del 2009.


Marangolo parte con una premessa, una dichiarazione d’intenti. «Ho fatto stampare il programma del concerto perché oggi vorrei limitare i discorsi e lasciar spazio alla musica». In realtà in un’esibizione di circa novanta minuti, si aprono ogni tanto degli intermezzi, in cui il sassofonista espone pensieri e considerazioni, intinti nel suo humour “siciliano”. Fra le altre perle raccolte. «Il jazz è in via d’estinzione. Se ne stanno occupando il WWF, Italia nostra e anche la Lega contro la vivisezione si è dimostrata interessata al problema…» La scaletta prevede brani composti fra il 1986 e il 2015. «Quando sapevo poco, scrivevo molto meglio di quando, poi, ho imparato…» chiosa il maestro ovadese di adozione. con l’umiltà propria dei musicisti di razza. I temi sono ariosi, con melodie semplici, ben articolate, su cui si aprono improvvisazioni intriganti del tenore, sorrette da un accompagnamento sontuoso di contrabbasso e batteria, Tavolazzi e Bandini. Si passa da una ballad molto sentita, scritta in occasione della nascita della figlia Lucia ad un pezzo come “El sol”, dove aleggia l’ombra di Ornette e il sassofono, ad un certo punto, va a toccare le note fino in cielo, producendo un lungo fischio perfettamente intonato. Anche in “Hembargo”, il fraseggio del leader del gruppo si fa accidentato e avventuroso, mentre in “Protomilonga”, rispunta la passione del trio per la danza argentina, rispolverata da Paolo Conte nella celebre “Alle prese con una verde milonga”. In “Avant le Desert” il canto passa attraverso il tubo di metallo con un effetto inconsueto e suggestivo. “Yez”, espressione senza un significato, contiene un riff contagioso e un’anima soft-rock. Chiude il concerto, un inedito di Duke Ellington, consegnato brevi manu da un barbone brasiliano all’artista catanese. Il pubblico resta perplesso per la rivelazione, ma si accorge dello scherzo quando i tre attaccano il “Tuca Tuca” di Raffaella Carrà con una citazione finale di “Tintarella di luna”. È un bis già annunciato che conclude nel divertimento uno spettacolo sobrio e intelligente. I tre protagonisti riescono a comunicare, infatti, l’immagine di un jazz domestico, alla portata di tutti, senza tradire lo specifico del genere. (GM)