Bella Mia. Il viaggio musicale di Fabio Delvò tra ricordi personali e prospettive sonore

Foto: la copertina del disco “Bella Mia”










Bella Mia. Il viaggio musicale di Fabio Delvò tra ricordi personali e prospettive sonore


Fabio Delvò è un musicista molto interessante, ma altrettanto misconosciuto. È giunto con “Bella Mia” al quarto disco a suo nome, ma non molti si sono accorti delle sue precedenti realizzazioni. E sì che ha inciso con personaggi quali Biagio Coppa o Achille Succi in Italia e ha pure pubblicato un album per un’etichetta tedesca, in compagnia del trio del chitarrista americano Jeff Platz.


Il suo ultimo cd è decisamente anomalo, in un certo senso, rispetto alla sua produzione. È, infatti, dedicato alla madre, scomparsa da un anno, a cui il sassofonista era molto legato ed è concepito, fondamentalmente, come un disco in solo, anche se concorrono altri amici, non tutti professionisti, a comporre questo tributo alla persona defunta. Delvò si rivolgeva alla madre proprio chiamandola “Bella Mia”; da qui il titolo di un’opera breve, di neppure trentacinque minuti, ma ricca di idee e carica di affettività.



Jazz Convention: Questo è sicuramente un disco particolare, perché è un omaggio ad una persona a cui tenevi tanto, scomparsa recentemente. Ti è servito per esprimere un dolore o piuttosto per sublimarlo?


Fabio Delvò: Sì, è un disco speciale perché è stato interamente pensato e scritto per mia madre. Penso che un certo significato catartico esista anche se la mia intenzione, razionalmente, era quella di testimoniare l’infinito amore per lei ed anche per mantenere la promessa di non lasciarmi andare, continuando a sviluppare i miei talenti; la mamma è stata sempre la mia ispirazione e stimolo principale.



JC: Il disco si apre con la voce di una tua nipotina che decanta le virtù di cuoca di tua madre, a cui segue un solo di sax alto piuttosto asciutto e severo, vagante nella ricerca armonica, poco sentimentale, in fin dei conti. Volevi evitare in qualsiasi modo i toni malinconici, nostalgici troppo caricati o semplicemente hai voluto rendere un omaggio a “Bella Mia” secondo il tuo stile particolare?


FD: Mia nipote Jessica è stata meravigliosa, penso che il suo intervento sia una delle cose più belle di Bella mia. Ho chiesto a mio fratello di registrarla e di lasciarla libera di dire ciò che voleva. Ho solo chiesto che venisse citata la nonna Elena. Per quanto riguarda il solo della Ouverture l’ho eseguito nel mio stile, ossia facendo me stesso, come cerco di fare sempre, come mi ha insegnato mia madre. Tendo a non essere melenso per natura ma sentimentale si, sempre, anche nella più dura delle mie note. Sono sempre sincero nelle mie intenzioni, spero che si avverta. Qualcuo mi ha detto che c’era anche mia madre durante la registrazione, lo so, l’ho sentita, lei c’è anche in questo assolo.



JC: Nel secondo e terzo brano interviene Lorenzo De Angeli al basso semiacustico, che di fatto non accompagna il tuo girovagare sullo strumento, ma si pone generalmente in contrappunto al tuo discorso solistico. Vi siete accordati in questo senso o lo hai lasciato libero di improvvisare?


FD: Lorenzo o “Lollo”, come l’ho sempre chiamato, è stato molto bravo. È venuto da me, a casa, un paio di giorni prima della registrazione. Anche lui oltre che musicalmente, è stato da me coinvolto per motivi affettivi. È stato il primo bassista con cui ho suonato ed ha conosciuto mia madre in uno dei più bei momenti della mia vita, quando ho vissuto ad Urbino. Cercavo un musicista molto melodico. Naturalmente abbiamo parlato prima di andare in studio. Esistono delle linee guida scritte, dei temi che abbiamo guardato insieme. Per il resto abbiamo fatto una “full immersion” durante la quale gli ho espresso tutte le mie idee sull’accompagnamento e l’interazione tra di noi. Personalmente ho delle idee particolari e chiare. Ho cercato di dargli delle indicazioni, con degli esempi, discutendo le mie intenzioni improvvisative. Naturalmente da bravo musicista qual è, ha saputo interpretare al meglio quelle indicazioni. Ad esempio gli ho esposto la mia teoria intervallare e richiesto di far sentire il suono dell’Africa in alcuni momenti. Abbiamo convenuto a tavolino alcuni spostamenti armonici, certi target da rispettare nell’ambito di alcune zone in cui dialoghiamo maggiormente. Gli ho chiesto di tenere alcuni tempi e suddivisioni ritmiche. È stato davvero bravo Lollo, sia per il suo apporto creativo sia per la parte tecnica, ancor più considerando che solitamente è coinvolto in progetti molto differenti da Bella mia.



JC: Il secondo brano si intitola “Danzo solo per te” e contiene anche una sequenza ripetitiva che si potrebbe, in effetti, prestare al ballo. Hai voluto in qualche modo rendere omaggio in particolare alle danze popolari pugliesi? Qual è il tuo rapporto con il folklore mediterraneo?


FD: Tutto il disco, nelle sue parti visive, scritte e musicali è stato ispirato soltanto da mia madre, compresi i titoli. La parola Danza mi è arrivata pensando al suo desiderio che fossimo felici (mio fratello ed io) e dunque quale miglior festa del ballo? Inoltre significa per me anche la necessità di danzare per non andare in depressione, diciamo. Infine descrive anche il fatto che danzo ( direi mi entusiasmo, metaforicamente ) solo per poche cose così profondamente. Qui, nel disco, danzo senz’altro solo per mia madre. Non credo che “Danzo solo per te” ricordi danze popolari pugliesi, piuttosto lo trovo più radicato in Africa, sia per un discorso tecnico, sia come sonorità, mi sono divertito anche molto a cantare. Il folklore mediterraneo, inteso come genere, non mi appartiene molto perché lo conosco anche molto poco. Lo intendo, invece, come radice di un musicista/persona, nato e cresciuto in Italia. Non credo che possiamo prescindere dalle nostre origini, anzi dobbiamo proprio guardarci dentro. Inconsapevolemente o meno, credo che questo aspetto emerga sempre laddove, naturalmente, ci sia un approccio autentico.



JC: L’epilogo è riservato ad una poesia, detta dall’autore Tonino Zurlo e si conclude ancora con il suono del tuo sassofono, una volta di più incisivo ed efficace. È la prima volta che ti prendi la responsabilità di occupare un certo numero di minuti, nelle tracce, solo con il tuo alto (e lo fai benissimo, fra l’altro). È stata un’esigenza espressiva o hai voluto metterti alla prova?


FD: Tonino è un amico, l’ho conosciuto lo scorso anno, appena una decina di giorni dopo la scomparsa della mamma. Appena mi ha visto, mi ha recitato questo suo scritto: ha empatizzato immediatamente con me, partecipando al mio dolore e consolandomi con la sua sensibilità di uomo/artista. Ogni volta che ci siamo visti, per quasi un anno me l’ha recitata. Mi è sempre sembrata molto pertinente e mi è parsa quasi scritta per la mamma. Ho deciso d’inserirla per questo ed anche perchè, a proposito di origini, ritengo bello che si senta il dialetto tipico di Ostuni, quello di mia madre, appunto. Tonino parla quello più antico e legato al popolo. Per quanto concerne il fatto di avere suonato parecchio in solo, devo dire che questo ha a che fare con il desiderio che il disco fosse quasi un dialogo personale tra me e mia madre, confidenziale. È stata una cosa spontanea, ancora una volta, avevo voglia di fare così; ho voluto espormi, senza paura, ho voluto mostrarmi “nudo”. Credo anche che Bella mia sia stato pure, di nuovo, un modo di mia madre di dimostrarmi il suo infinito amore, dandomi la possibilità di farmi notare maggiormente da tutti.



JC: Nell’album interviene un coro di non professioniste. Come sei riuscito a vincere la loro ritrosia, la loro timidezza, come scrivi nelle note di copertina?


FD: Sì, loro sono alcune care amiche della mamma, sono state bravissime. Non ho dovuto fare molto per convincerle. È bastato spiegare cosa stessi facendo. Il loro amore per l’amica Elena ha fatto il resto. Le ringrazio molto. A questo proposito, devi sapere che il lavoro di post produzione è stato impegnativo. Per i cori, in particolare, mi hanno mandato le loro tracce da diverse località italiane ed europee e le abbiamo poi montate in studio. Il mio concetto di Bella mia era molto vicino a quello di un “film”. Abbiamo dovuto montare tutte le parti extra musicali.



JC: La cover è piena di colori. È un tributo alla vita, alla sua varietà di tinte, di sfumature, mentre stai ricordando chi è mancato?


FD: Bravissimo! Hai centrato il senso, è tutto questo ma non perchè lo abbia pensato io. Io ho solo voluto cercare di rappresentare, manifestare e interpretare la meravigliosa grandezza di mia madre, uscendo anche dal rapporto personale madre/figlio, proprio come donna. Se noti la sua foto (quella intera) vedrai quel suo bellissimo abbraccio alla vita dato con immensa generosità e gioia. Bene, devi sapere, che quella foto la scattai io alla mamma, una decina di giorni prima. Ora, forse, potrai comprendere meglio perché io parli della sua grandezza d’animo. Nonostante tutto lei diceva: “Inno alla Vita!!”. Il suo spirito poetico ed i suoi “Inni alla vita” ed “Inni alla gioia” sono in parte rappresentati qui, per esempio nei suoi fiori. Per ottenere i colori ho usato il suo abbigliamento ed alcuni suoi personali oggetti, scattando delle foto con il mio amico, grafico e sassofonista Elio Dubla.



JC: Questo è il quarto disco a tuo nome, autoprodotto come i precedenti. È una scelta momentanea o credi che questa sia l’unica possibile strada?


FD: In verità Bella Mia è il mio terzo disco personale, dopo DNA e Rastplatz, pure prodotti e distribuiti da DF Records, l’etichetta da me fondata. Differential Equations, invece, mi vede come co-leader, invitato da Jeff Platz negli USA per la registrazione ed un tour nel 2012. Il disco fu prodotto e distribuito dall’etichetta tedesca Skycap. Non so se l’autoproduzione sia l’unica scelta possibile, sicuramente alcuni progetti sembrano venire meno “spinti” di altri e non se ne capisce bene il perché, almeno io non lo capisco. Penso che l’originalità sia un requisito difficile da reperire in circolazione, in qualunque settore in verità. Personalmente sono interessato al “bello”, meno ai prodotti dozzinali, non so se ci sia un nesso con quanto mi chiedevi. Comunque se c’è chi possa essere interessato a produrmi, sono a dispozione!



JC: Vedi questo album in continuità con i tre che lo hanno preceduto o lo vedi come una realizzazione unica e irripetibile?


FD: Questo disco è senz’altro una cosa assai speciale, data l’ispirazione. Credo, per quanto dicevo prima, che si possa avvertire la “stessa mano” in tutti i miei lavori. Penso che la nostra vita e conseguentemente anche la musica che viene espressa, siano un interessante viaggio. A seconda di come viene condotto porta a dei risultati, ecc. Penso che la coerenza sia un buon requisito ma che si possa e/o si debba anche saper cambiare idea. L’importante e capire quando e soprattutto seguire fedelmente sé stessi. Credo che “la stessa mano” si avverta nel mio suono, il cui studio m’impegna assiduamente da quasi una trentina di anni, nell’articolazione. Penso siano elementi che accomunano i miei lavori e segnino il progresso e i cambiamenti avvenuti. Anche a livello compositivo e di arrangiamento, mi pare che si possano ravvisare delle analogie ma preferisco che siano i critici, gli addetti ai lavori ad indicarmi questo genere di cose.



JC: Parliamo un po’ di te. Sei nato a Varese, ma vivi a Ostuni dal 2015. Come mai questa scelta? Raccontaci in breve, a questo punto, la tua vita e la tua carriera artistica fino ad oggi.


FD: Sono nato e cresciuto a Varese, da cui sono poi fuggito. Ad Ostuni sono venuto alla fine di Febbraio 2015 per stare vicino a mia madre nella sua malattia. Lei era tornata nella sua casa dopo più di quarant’anni di Lombardia. La mamma è scomparsa il 3 Maggio 2015. Non ho scelto nulla, mi sono trovato naturalmente ad avere la mia nuova base qui, a casa sua, a casa nostra. Mi piace l’idea della continuità, cerco di mantenere viva la casa, il suo giardino, le sue cose, i rapporti con le persone che conosceva, mi sento anche più vicino a lei. Ho iniziato ad appassionarmi alla musica da bambino. Io e mio fratello frequentavamo un istituto privato e nel doposcuola io studiavo flauto e lui chitarra. Poi io sono diventato sassofonista, lui si è dedicato alla scrittura di bellissimi libri (racconti e romanzi). Il mio insegnante, il Maestro Motta, era un sassofonista. Credo sia nata così la mia storia artistica. Feci l’esame di ammissione presso il Lieo Musicale, lo superai e mi ammisero ma non iniziai mai. Molti anni dopo, io diciannovenne, mia madre mi regalò un bellissimo sassofono (che possiedo ancora naturalmente). Era Natale. Piansi di gioia. Iniziai molto tardi a suonare il sax, dunque, insieme all’Università e a piccoli lavoretti paralleli. Fondamentalmente mi ritengo un autodidatta, ho incontrato alcuni insegnanti ma ho appreso soprattutto dai grandi autori che ho ascoltato e studiato e che spesso hanno influenzato anche loro. Ho frequentato alcuni seminari, ricordo particolarmente quelli con Steve Lacy, Joe Zawinul e Gary Burton. Ho ottenuto degli attestati prestigiosi per quanto concerne lo studio dell’Armonia, di scarso valore per l’insegnamento nel pubblico ma di grande utilità personale e per l’insegnamento nel privato. Ho frequentato i corsi del Berklee College of music di Boston. A livello musicale ho inciso sette dischi finora. Ho suonato in orchestre e differenti formazioni, dal duo all’ottetto, ho fatto molte performance anche in sax solo, in progetti teatrali, installazioni di arte contemporanea, mostre, ecc. Ho vissuto nelle Marche, in Toscana, a metà tra Milano e la Repubblica Ceca, ora in Puglia. Ho avuto modo di conoscere e suonare con meravigliosi musicisti ed artisti in questi anni, sia in Italia che all’estero. Al momento sono intento alla presentazione di Bella mia ed ho in cantiere alcuni progetti che verranno svelati a breve.



JC: Vivendo ad Ostuni viene spontaneo chiederti: hai rapporti con i musicisti pugliesi?


FD: Per il momento ho avuto alcune proposte in ambito locale, per la verità poco interessanti ma vedremo. Ho lavorato più che altro in “situazioni sinestetiche”, contaminate quindi con altre forme artistiche, in collaborazione con attori soprattutto. Mi hanno proposto alcune performances in sax solo durante esposizioni d’arte per esempio, che sono stato felice di eseguire. Lo scorso maggio abbiamo anche presentato Bella mia (anche se Lollo non è pugliese) nel brindisino, grazie ad una cara amica pugliese, Grazia Anastasia, che ha preso a cuore la mia musica, promuovendola anche privatamente.



JC: Quali sono i maestri a cui devi di più, come musicista?


FD: Caspita! Una domanda davvero impegnativa. Non ho mai copiato gli altri, ho seguito coloro i quali mi piacevano maggiormente, rimanendone necessariamente, forse, influenzato. Inizialmente, nei primissimi anni di studio, si cerca l’imitazione con i più grandi cosa che poi svanisce, almeno dovrebbe, nel senso più pedissequo. Lo studio continua ancora oggi quotidianamente. Ho avuto varie e diversissime fasi nella mia crescita musicale. I primissimi vinili che ascoltai furono una raccolta con Lester Young e Coleman Hawkins che tra l’altro non mi piacque e Adam’s Apple dell’insuperabile Wayne Shorter, che amai subito. Sono stato onnivoro sul serio, ho ascoltato dalla pop music degli anni ottanta ai canti gregoriani, dal rock più duro alla musica celtica. In ambito più jazzistico ho ascoltato veramente di tutto. Inizialmente mi piaceva la fusion per giungere poi a qualcosa di assai più ricercato ed intellettuale, nel senso buono; non sono mai stato snob. Ho amato tanto lo swing, studiandolo per poi cercare di astrarre quel senso, sottintendendolo. Ho studiato monograficamente alcuni autori piuttosto che altri. Sicuramente ho ascoltato Coltrane, Miles Davis, C.Parker.



JC: Nel tuo stile io ho sempre incontrato le influenze più o meno dirette di Steve Coleman e Greg Osby. Riconosci una qualche parentela con il modo di suonare di questi sassofonisti? A chi ti ispiri invece?


FD: Steve Coleman è senz’altro un musicista che ho seguito sulla scena contemporanea, studiando anche il suo M-Base, come ho avuto modo di dichiarare in precedenza. Trovo che abbia influenzato la scena mondiale e continui a farlo con le nuove generazioni. Lo ritengo parecchio interessante evidentemente in senso ritmico, elemento per me di primaria importanza. Fino ad una certa età mi sono sempre ispirato ai tenorsassofonisti pur suonando l’alto e da circa una ventina di anni anche il soprano. Non ho un modello in particolare, ascolto tanto, mi diverto a scoprire i nuovi astri e spesso mi riesce di predirne un futuro radioso. Solitamente nel corso della mia carriera musicale alcuni mi hanno accostato ad altri musicisti, non parlo solo dei giornalisti, anche di alcuni colleghi. A volte non li avevo mai sentiti nominare però questo è stato di forte sprone per approfondire, a mia volta. Ora “promuovo” chi mi piace, così solo generosamente, in modo tale che la tradizione orale prosegua.



JC: Una domanda fin troppo scontata; quali sono i tuoi progetti per il futuro?


FD: Quello che mi auguro è di poter incontrare gente interessante e di innamorarci a vicenda in modo da poter creare qualcosa di magico. Avevo in mente qualcosa d’innovativo e moderno e mi è squillato il telefono per una proposta in questo senso, una coincidenza pazzesca, perfetto! Ho tanta musica anche già pronta, sto solo fiutando con chi, dove, quando suonarla; se unirla alle forze di altri per una nuova cosa esplosiva… Spero anche di essere più sereno e di continuare a sentire la mano di mia madre sopra di me.



JC: Con chi ti piacerebbe incidere uno dei tuoi prossimi dischi?


FD: Che bella domanda questa! Posso dire Wayne Shorter? Mi piacerebbe davvero realizzare un sogno del genere ma del resto, a chi non piacerebbe! In ogni caso spero, come dicevo, in qualche colpo di fulmine. I bravi e i funamboli sono tanti ma i veri fuoriclasse sia nella musica che nel pensiero e nell’anima non sono molti. Io cerco quelli ed è da quelli che mi faccio catturare.