Mario Ciampà e la quarantesima edizione del Roma Jazz Festival

Foto: il manifesto del Roma Jazz Festival










Mario Ciampà e la quarantesima edizione del Roma Jazz Festival



Mario Ciampà, direttore artistico del Roma Jazz Festival, è intervenuto all’interno di Attica Blues, la trasmissione condotta da Luca Labrini e Pietro Zappacosta sulle frequenze di Radio Onda Rossa (www.ondarossa.info)), per presentare la quarantesima edizione della rassegna: ecco la trascrizione dell’intervista effettuata dai due conduttori per i visitatori di Jazz Convention.



Jazz Convention: Il Roma Jazz Festival è indissolubilmente legato al tuo nome, come ti sei avvicinato al Jazz?


Mario Ciampà: La storia è lunga però ti dico per puro caso, io sono architetto e fui chiamato a ristrutturare un locale di jazz. Da lì poi sono stato coinvolto in questa musica e oggi sono quaranta anni che faccio questo tipo di attività.



JC: Come è venuta l’idea del Festival?


MC: L’idea nacque nella prima Estate Romana, quella del 1976, che ha rivoluzionato la fruizione della cultura a Roma. Nacque al Gianicolo in un piccolissimo teatro ancora esistente che si chiama La quercia del Tasso come una cosa un po’ piccolina, eravamo in tutto tre-quattrocento persone. Il successo fu tale che abbiamo successivamente girato tutta Roma, dal Circo Massimo alla scalinata dell’Eur fino ad arrivare ad uno storico concerto con Miles Davis e poi Pat Metheny alla Curva Sud dello Stadio Olimpico con ventimila persone. Dopo abbiamo dovuto inevitabilmente ridimensionare un po’ tutto anche per mancanza di finanziamenti e di sponsor prima di approdare dodici anni fa all’Auditorium Parco della Musica dove abbiamo anche cambiato il nostro stile, diventando da manifestazione estiva ad autunnale al coperto e facendo tutt’altra programmazione basata su temi specifici e particolari che riguardavano il rapporto del Jazz con tutte le altre arti.



JC: Proprio in questo quarantennale manca apparentemente quel filo conduttore che ha caratterizzato le ultime edizioni. Guardando il cartellone però si potrebbe dire che è un’edizione del due per uno, in cui in ogni concerto ci sono almeno due grosse star da poter sentire e ammirare, da Joshua Redman con Brad Mehldau a Cécile McLorin Salvant con Jacky Terrasson ma anche Richard Galliano con Philip Catherine e via dicendo.


MC: In realtà sembra che manchi il tema, abbiamo infatti inventato il tema dei temi, nel senso che ogni concerto è legato ad un tema che abbiamo affrontato nel passato. In effetti ci siamo anche voluti adoperare per fare un programma che si muovesse tra cose consolidate, come Redman e Mehldau, vicino a cose più nuove, come il giovane Jacob Collier che usa l’elettronica e le nuove tecnologie sul web, e conferme come Richard Galliano che festeggia il suo trentesimo anniversario, John Scofield con il suo nuovo progetto dedicato al country americano, e la novità assoluta del duo formato da Stanley Jordan e Billy Cobham che, nonostante siano due grossi nomi, insieme non avevano mai suonato. Sì, in effetti esistono parecchi duetti perché forse anche la crisi economica ha fatto sì che molti gruppi venissero ridimensionati, ma di contro c’è anche la voglia di questi solisti di confrontarsi in amicizia ed avere un colloquio tra strumenti per proporre una musica nuova che è proprio poi lo spirito del Jazz e di un festival.



JC: A proposito di crisi economica e tagli di fondi alla cultura, il merito del Roma Jazz festival è quello di non essersi mai snaturato aprendo ad artisti più pop, rimanendo sempre fedele al Jazz.


MC: È vero, premetto che in termini economici questa soluzione si paga, però finché è possibile fare un programma di qualità, di livello internazionale, senza dover far cassetta andando a prendere artisti pop che riempiono le piazze, noi teniamo duro. Quest’anno poi la situazione si è ulteriormente aggravata dato che non abbiamo finanziamenti pubblici e quindi ci fidiamo molto che il nostro pubblico del Jazz possa sostenere questo Festival.



JC: Come vedi il futuro del Jazz a Roma, che a parte i grandi Festival, fatica a trovare spazio?


MC: Bisogna vedere come si muoverà la nuova amministrazione, ho sentito degli interventi dell’assessore alla cultura Bergamo e credo che siano orientati giustamente verso la valorizzazione delle periferie, verso i giovani e l’integrazione. Non abbiamo ancora discusso per capire cosa faranno, non solo nei riguardi del nostro Festival, ma anche verso altri Festival storici che sono nati durante l’Estate Romana e che hanno tenuto alta la qualità culturale di questa città. Io credo che dovremmo confrontarci con questa nuova amministrazione e vedere tutti, istituzioni e non, di aprirci verso nuove soluzioni di programmazioni.



JC: Quale artista sei stato più orgoglioso di aver portato al Festival e quale invece avresti voluto avere?


MC: Beh l’abbiamo portati proprio tutti, a volte nascono delle belle storie di amicizie con i musicisti, ma quello che mi ha inorgoglito di più è stato Sonny Rollins, credo sia uno dei più grandi musicisti in assoluto. Nel passato c’è stato anche Miles Davis, ma preferisco parlare di quelli che sono ancora oggi sui palchi. Dei giovani mi piacerebbe avere in futuro gli Snarky Puppy.



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