Roma Jazz Festival: Quarantesimo Anniversario

Foto: Luca Labrini










Roma Jazz Festival: Quarantesimo Anniversario

Roma, Parco della Musica – 6/23.11.2016


Nel 2016 cade il quarantesimo compleanno del Roma Jazz Festival, la manifestazione nata dall’intuizione del direttore artistico Mario Ciampà che è diventata negli anni uno dei pochi appuntamenti fissi di qualità per gli appassionati romani. Questa edizione, a differenza delle ultime, non prevede ufficialmente alcun tema conduttore, anche se a guardar bene la composizione del cartellone quello del duetto potrebbe essere un filo che ritorna valido per quasi tutti i concerti. Ed è proprio un duetto ad aprire quelli in programma all’Auditorium Parco della Musica, quello formato dal piano di Brad Mehldau ed il sassofono di Joshua Redman. Freschi di stampa con l’album Nearness, che comprende alcuni spezzoni dei live europei catturati nel 2012, i due artisti, molto amati e praticamente di casa all’Auditorium, fanno registrare subito il pienone per uno dei concerti sulla carta più attesi. Compagni di palco fin dagli anni novanta e considerati tra i musicisti di punta della loro generazione, la coppia è protagonista di una lunga tournee basata sulla loro ultima uscita discografica, accolta bene da pubblico e critica. Nonostante le buone premesse i due non riescono però mai ad entusiasmare ed emozionare: i brani, fatto salvo l’omaggio a Monk di In Walked Bud tutti originali e firmati a turno da entrambi con alcuni inediti ancora senza titolo, non sorprendono né rimangono indimenticabili per temi e scrittura, ma anche in fase improvvisativa i musicisti deludono in un interplay che invece dovrebbe essere finissimo. Mehldau infatti appare svogliato in un accompagnamento alle volte fin troppo fiacco al servizio di un Redman alla lunga ripetitivo, perso in fraseggi e virtuosismi veloci che non propongono mai qualcosa di nuovo o particolarmente stimolante. Feeling che migliora nei due bis finali, quando le parti si invertono e sale finalmente in cattedra un Mehldau fin lì fin troppo in ombra, salutato da un’autentica ovazione che alla premia forse oltremodo i due protagonisti.


Festeggiamenti anche per Richard Galliano che celebra i 30 anni di carriera portando in scena il progetto 30th Anniversary New Jazz Musette Quartet. Qui il duetto d’eccezione è quello rappresentato con il grande chitarrista belga Philip Catherine con il quale il fisarmonicista di Nizza instaura un dialogo di rara eleganza. Completato dal contrabbassista inglese Yaron Stavi e dal batterista olandese Hans Van Oosterhout, il quartetto ripercorre le tappe fondamentali della carriera di Galliano proiettando gli spettatori in un’epoca di altri tempi modernizzando la tradizione francese con il loro New Musette fatto di valzer musette, tango e swing per una musica di estrema raffinatezza. In mezzo a qualche brano a firma di Catherine e qualche standard d’autore in cui spicca una bella versione di Autumn Leaves, il repertorio testimonia la capacità di scrittura di Galliano di muoversi tra ambienti melanconici ad altri più leggeri fino a quelli più colti con grande armonia. Il leader infatti eleva quell’ambiente da Bistrot a musica alta attraverso i suoi temi più celebri, da La Valse a Margaux eseguita in solitudine a A French Touch in trio con cui apre il concerto, riprende i colori argentini con una rivisitazione di Libertango arrivando fino al blues delle origini di Nice Blues con cui chiude lo show con massima disinvoltura, confermandosi ancora un maestro assoluto non soltanto del suo strumento.


Altro evento particolarmente atteso è il ritorno di John Scofield per la presentazione della suo nuovo progetto Country For Old Men, anticipato dall’uscita a settembre dell’album omonimo per la Impulse! dove avvicina le sonorità della tradizione country a quelle del jazz. Accompagnato da un trio di tutto rispetto formato da Larry Goldings al piano e organo Hammond, Steve Swallow al basso elettrico e Bill Stewart alla batteria, il chitarrista appare in ottima forma trovandosi a suo agio tra i ritmi veloci e allegri dei vari traditional proposti, basi ideali per i lunghi fraseggi dal sapore più jazzistico. Il concerto si poggia sul dialogo continuo tra lo stesso Scofield ed il bravo Goldings che, soprattutto all’Hammond, riesce a colorire con garbo le melodie disegnate dalla chitarra, splendidamente supportati dall’instancabile lavoro sporco di un sempre superlativo Swallow. Una musica piacevole che ha il pregio di non scadere nei semplici virtuosismi dei protagonisti, ideale per amanti di quel genere country qui rivisitato, ma pur sempre legato alle sue radici.


A chiudere in bellezza il festival un altro duetto di alto livello, quello formato dal pianista Omar Sosa e dalla violinista Yilian Canizares. Entrambi cubani ma di generazioni diverse, classe 1965 il primo e 1981 la seconda, i due sono partiti fin da giovani dall’isola caraibica alla scoperta dei vari suoni del mondo caratterizzando la loro musica di un vocabolario ampio e variegato davvero cosmopolita. Con i suoni coloriti della loro isola, sempre ben marcati in ogni brano, i due intraprendono il loro viaggio con gran classe, con Sosa che conduce la sua bella e brava compagna verso una musica festosa che coinvolge fin dalle prime note. L’allegria e la solarità della Canizares, che alterna canto e violino con invidiabile talento, è infatti brillantemente ripresa dal tocco delicato al piano e tastiere di Sosa che, anche con l’aggiunta di discreti campionamenti, costruisce delle atmosfere talvolta imprevedibili ma sempre travolgenti. Il dialogo e l’empatia tra i due diventano infatti ben presto contagiosi trovando un valido appoggio nel pubblico presente che è a più riprese coinvolto a tenere il tempo. Le lunghe improvvisazioni sono infatti sempre tinte di una forte musicalità in cui la complicità dei due musicisti è davvero il punto di forza di una musica senza confini che a tratti diventa addirittura ballabile per un concerto che meglio non poteva chiudere una festa del jazz che ci auguriamo possa durare per almeno altri 40 anni.



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