Il funerale di Gianni Basso

Foto: Fabio Ciminiera, Pescara Jazz 2007






Stavolta la videata bianca fa paura davvero, poiché dovrei provare a riempirla con parole che possano descrivere chi non c’è più: operazione dolente ma necessaria, di un 20 agosto jazzisticamente rilevante.


“Storico”, si potrebbe dire.


Fino alla mattina di lunedì 17 agosto pensavo che giovedì 20 fosse un giorno speciale per sorridere a Enrico Rava nel giorno del suo settantesimo compleanno. Una festa appartata e deliziosa – all’interno del palinsesto del Festival Mistà – alla Fabbrica dei Suoni di Venasca (CN). Pochi posti in platea, atmosfera familiare, toni amicali di cui parlare in modo più approfondito, sempre su questo stesso sito ma lontano da qui.


Però sarebbe stato il mio primo giorno senza Gianni, e ancora non lo sapevo. Gianni Basso che appariva nelle locandine a sancire la propria presenza al Festival dei Due Laghi di Avigliana o al Jazz Club, per volontà di quella gran persona che è Fulvio Albano, amico e vicino a tal punto da cancellarne l’assenza e renderlo magicamente guarito dal proprio nome accanto alla Big Band. E noi ogni volta pacificati: “Gianni ci sarà, dunque sta meglio, che cosa grandiosa…”.


Però Gianni ci ha lasciati a salutarlo il 20 mattina, mentre Enrico Rava faceva il check sound a Venasca e si crucciava per la scarsa attenzione dei media in occasione della morte di Gianni. Ce l’aveva soprattutto con La Stampa: in fondo Gianni era uno dei più grandi jazzisti italiani ed era pure piemontese, perché solo quelle poche righe sulle pagine di cronaca locale?!


Alfredo Ponissi camminava lento per il corso di Asti, tra le mani una custodia nera, un po” consunta. “E’ un soprano degli Anni Venti” mi aveva detto. “Arriva da New Orleans, pare che lo usassero per i funerali…. chissà chi lo ha tenuto tra le mani prima di me… E’ lo strumento giusto per questa giornata, non trovi?!?”


Non sapevamo dove fosse la chiesa, ma seguivamo il flusso di tutte le persone che affollavano la strada e che a loro volta guardavano i nomi delle vie traverse, per non perdersi e trovare il luogo giusto. Gente triste e musicale come noi, e con la stessa nostra sensazione di essere un pochino più soli.


Bella piazza quella della chiesa, tutta piena di noi… Musicisti che non vedevo da tempo, ai quali in occasioni diverse sarei corsa incontro con gioia; i componenti della Big Band con i loro strumenti, e sedie e leggii per allestire un concerto pieno di connotazioni nella navata di destra; la moglie di Luciano Milanese letteralmente aggrappata alla custodia del contrabbasso, con un sorriso lontano che in fondo era uguale al nostro. Eravamo tanti, potrei dire anzi che c’eravamo tutti e sarebbe potuto essere un momento di grande condivisione, e arte in tutte le sue forme. E invece abbiamo sorriso alla signora Milanese di quello stesso sorriso lontano.


Non era facile per il sacerdote celebrare quel rito, eppure doveva esserci qualcosa di davvero magico perché non c’è stato nulla di forzato, di ridondante. La Big Band avrebbe dovuto suonare e infatti così è stato e l’attacco della magnifica “Miss Bo” di Gianni era cristallino nella resa e un soffio nelle emozioni. Acustica perfetta, in parecchi abbiamo chiuso gli occhi e percepito che le note stavano salendo insinuandosi tra le arcate romaniche, risvegliando turbamenti mistici anche in chi, non cattolico, era lì con la faccetta un po” scettica solo per salutare Gianni. Fulvio Chiara in piedi con la tromba puntata verso il cielo. Brividi.


Durante l’offertorio si aggirava tra gli orchestrali Renato Sellani: Gianluca Tagliazucchi a cedergli il posto e all’improvviso una musica – che in altri ambiti avremmo chiamato “assolo di piano” – ci ha aiutati tutti a liberare quel nodo commosso uguale nella forma e dissimile nel personale sentire di ognuno di noi.


Apprezzamenti dal parroco, ormai così coinvolto da farci sorridere tutti annunciando un altro pezzo della Big Band come un Filogamo talare: “Ed ora sentiamoci insieme un altro brano di questa splendida orchestra!…”


…Era “Bye Bye Blackbird”, ciao Gianni. Ho saputo che in Giappone ti hanno dedicato tributi, articoli, saggi… Vorrei poterti dire che qui da noi sarà lo stesso e certo a molti di noi hai lasciato molto.


Ti piaceva bere vino ma solo con chi ti piaceva, con i parolai non volevi condividere un attimo del tuo tempo: io ti ho apprezzato, intervistato, ho brindato con te e ti ho voluto bene. Manchi a tutti, ma resta la tua arte. A noi il dovere di custodirla.