Parco della Musica – MPR 017CD – 2009
Gianluca Petrella: trombone, live eletronics
Achille Succi: sassofono contralto, clarinetto basso
Roberto Cecchetto: chitarra elettrica
Paolino Dalla Porta: contrabbasso
Morten Lund: batteria
Un titolo decisamente azzeccato quello dell’ultimo disco sfornato dall’instancabile Paolino Dalla Porta: in effetti gli otto brani che compongono il disco si configurano come delle “saghe” di una cultura talmente multietnica da farsi portatrice di elementi occidentali e orientali in egual misura. Non vogliamo certo che quella di “Urban Raga” sia world music: semplicemente, il quintetto è in grado di farci respirare un’atmosfera contemporanea (urbana) e raffinata, costruita su identità mobili (quasi come fosse un esergo al disco, nel booklet si può leggere la poesia “Mutability” di Percy Bisshe Shelley) di cui si fanno portavoci alcuni dei più interessanti strumentisti italiani (e stranieri, nel caso di Morten Lund) tra i quali va nominato anche Gianluca Petrella, particolarmente a suo agio in questo jazz spinto sempre in avanti – mutevole, appunto. Non un brano (tutti autografi del leader) è uguale all’altro, per quanto ognuno porti evidentemente la medesima cifra stilistica, una cifra difficilmente sintetizzabile a parole: molto spazio è dato all’improvvisazione del singolo musicista su “tappeti sonori” che delineano più un paesaggio in movimento che un’immagine fissa, strizzando in più di un caso l’occhio verso il jazz nordico, per quanto l’impronta italiana sia sempre distinguibile. In un’operazione del genere, ovviamente, anche Achille Succi dà il meglio di se (si ascolti l’assolo pirotecnico in Sine Die, con uno stupendo riff di Petrella in conclusione, prima del rientro del tema principale – dove comunque ci si continua a sbizzarrire in vari modi) e un uso parco dell’elettronica rende il mix davvero riuscito. Non da ultimo, con “Urban Raga” anche l’etichetta Parco della Musica, ormai non più neonata, conferma la lungimiranza e l’intelligenza delle proprie scelte, sempre tese verso l’incosueto e non verso un jazz “di consumo”.