Alfa Projects – AFPCD169 – 2017
Francesco Di Giovanni: chitarra
Giampiero Merluzzi: basso
Alberto Proietti Gaffi: batteria
Francesco di Giovanni, chitarrista, compositore e didatta romano propone in questo disco un omaggio a un genere, il rock, che tanto ha inciso nella cultura e nell’immaginario di tante generazioni. Lo fa rileggendo in linguaggi jazzistico una serie di classici prevalentemente usciti negli anni ’60.
Il percorso, partendo da California Dreaming, passa per i Beatles, Bob Dylan, i Rolling Stones, i Police. Otis Redding e termina in Brasile con Deixa Isso pra là, una hit brasiliana degli anni ’60. Al di là dei linguaggi musicali usati e citati nel disco, quello che colpisce fin dalle prime battute del celebre brano dei Mamas and Papas è il clima emotivo che aleggia sulla musica, misurata ed elegante, di questo trio. Rock in jazz è un gioco della memoria, delicato e un po’ malinconico. Il chitarrista stesso nelle note di copertina confessa il suo legame con gli anni della sua giovinezza, quando molti ragazzi italiani scoprivano gli orizzonti del mondo ascoltando i gruppi inglesi, restavano spiazzati dalle innovazioni di Jimi Hendrix e sognavano l’America attraverso la musica.
Al di là del loro valore musicale molti dei brani proposti in questo disco sono stati, per molti giovani di allora parte essenziale della scoperta di un mondo nuovo, libero, sorprendente. Quelle musiche sono parte integrante della storia degli anni sessanta, con tutto il loro carico d’innovazione e di scoperta. Il 1968 passa anche attraverso i giradischi e i Jukebox dell’epoca.
Il sessantacinquenne Di Giovanni li rilegge in maniera sobria, classica, con una sorta di entusiasmo giovanile rimasto intatto negli anni, ma anche con delicato disincanto. Le varie tracce suonano appaiono come miniature musicali, come bozzetti sonori, come oggetti della memoria. Il sound del gruppo, sempre molto dignitoso e professionale, ricorda quello dei gruppi dei locali notturni di quegli anni: pulito, essenziale, confidenziale si sarebbe detto in quei tempi.
Anche nei momenti d’improvvisazione il trio mantiene il suo nitore melodico, il suo swing sussurrato.
Rock in jazz non è quindi un mero esercizio, come se ne sentono tanti, di improvvisazione jazzistica su brani diversi dagli standard della tradizione. Ha, invece, una sua cifra poetica precisa, tutta giocata su una nostalgia garbata ma non stucchevole e non manieristica. È un lavoro che mantiene le sue promesse.