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Sylvano Bussotti: composizione originale
Johnny Lapio: arrangiamento, riduzione, direzione, ideazione della performance
Furio di Castri: contrabbasso
Luca Biggio: clarinetto basso
Fulvio Chiara: tromba pocket
Francesco Partipilo: sax contralto
Max Carletti: chitarra elettrica
Pasquale Innarella: sax tenore
Valentina Piovano: soprano
Giuseppe Ricupero: sax baritono
Fabio Giachino: fender rhodes
Giancarlo Schiaffini: trombone
Lino Mei: pianoforte
Donato Stolfi: batteria
Per tanto tempo, a partire dalle celebri e feroci parole di Theodor W. Adorno, c’è stata una sorta d’incomunicabilità radicale fra il jazz e la musica delle avanguardie europee. Questa difficoltà di dialogo non è certo tramontata ma i muri si sono abbassati, i confini sono diventati più mobili e permeabili.
Lo dimostra questo disco, importante e interessante al di là di quella che può esserne l’immediata fruibilità dell’ascolto. L’idea di “ripensare” Calendario II, opera di Sylvano Bussotti, è di Johnny Lapio, trombettista della scena jazz torinese. Il punto interessante è che Lapio ha lavorato a questo progetto con la supervisione, probabilmente con la complicità, dello stesso autore, storico rappresentante della musica aleatoria. La “storia” raccontata nelle tredici tracce del cd è quella suggerita da un calendario giapponese, ideato e disegnato dallo stesso Bussotti. Ai dodici musicisti coinvolti, quasi tutti nomi ben noti a chi segue il jazz italiano è stato chiesto di suonare tenendo di fronte la partitura pensata dal Maestro. Non una partitura tradizionale, ovviamente, ma una serie di diagrammi di note e d’immagini ispirate dalla pittura giapponese. Gli esecutori potevano scegliere, in totale libertà, quali note suonare e in quale ordine fra quelle proposte dal compositore, abbandonandosi alle suggestioni visive delle immagini che avevano di fronte. Un’altra indicazione era quella di mantenere la durata della performance intorno ai tre minuti. Naturalmente ognuno degli interventi strumentali evoca un preciso mese dell’anno. Alla fine i dodici musicisti creano ad una breve improvvisazione collettiva non prevista nella pagina di Bussotti.
Come si vede il disco presenta più di un motivo d’interesse oltre a quello dell’incontro fra mondi musicali diversi: le differenze fra l’idea di musica aleatoria e quella dell’improvvisazione jazzistica, la possibilità d’un approccio sinestetico alla creazione artistica e alla sua fruizione; tutto il disco fa pensare, ad esempio, al mondo alla scarna e incantata elusività degli haiku.
All’ascolto il lavoro può, ovviamente, risuonare ostico. Anche al primo impatto l’ascoltatore più abituato a schemi jazzistici sarà catturato però dalla levità quasi danzante del pezzo proposto da Fabio Giachino al Fender Rhodes, dal lirismo della pocket trumpet di Fulvio Chiara, dalle suggestioni della chitarra di Max Carletti, dal suono di terra del sax di Pasquale Innarella, dai disegni ritmici della batteria di Donato Stolfi.
Ad ascolti successivi Calendario II rivela altri segreti, paesaggi, suggestioni, anche se non sempre i suoni “impuri” del jazz sembrano adatti a raccontare la leggerezza sognante di un immaginario calendario nipponico.
In ogni caso non siamo in presenza di una delle tante ibridazioni algide e un po’ futili cui lo sterminato panorama discografico ci ha abituato. Calendario II è, al contrario, un’eccellente, poetica riflessione sulla possibilità di immaginare linguaggi musicali nuovi.