Cakewalk – Ishihara

Cakewalk - Ishihara

Hubro Music – Hubro CD / LP 2575 – 2017



Øystein Skar: sintetizzatori

Stephan Meidell: chitarre, basso, sintetizzatori

Ivar Loe Bjørnstad: batteria






Terzo appuntamento discografico per la già acclamata band Cakewalk, qui ispirata nel titolo alla figura del dottor Shinobu Ishihara, ideatore esattamente un secolo fa di un test di discriminazione cromatica, riferimento suggerito dal grande impatto degli apporti di colore delle elettroniche alla maggioranza dei materiali qui registrati: secondo la conseguente estrapolazione, gli elementi timbricamente non tradizionali rappresenterebbero i colori gemmanti dalle tinte altrimenti monocromatiche della usuale moltitudine sonora, ferma rimanendo la soggettività (da cui il test) della percezione visiva – così come, e per estensione, di quella musicale.


Con tali premesse, e per un più focale inquadramento dell’album, il co-leader Stephan Meidell (di cui si è appena, e fervidamente, apprezzato l’intenso Metrics), ha ritenuto d’argomentare la relativamente lunga gestazione (se non “ibernazione o fermentazione”) del lavoro, protrattasi in parallelo alle molteplici attività individuali, fonti di ulteriori ispirazione e materiali.


Ciò potrebbe in effetti dirsi al riguardo di innumerevoli altre realtà, nel caso di questa incisione comunque sembra da tradursi nell’ipercinetico e sfuggente avant-pop fomentato dai tre, quanto meno multiforme lungo i suoi passaggi, nutrito da calde folate elettroniche, distorsioni di sound e travolgente psichedelica ritmica ad addentare un groove nervoso e determinante nell’imprimere multi-direzionalità ai materiali.


Ben poco preoccupati, infatti, a far confluire quanto registrato entro un qualche filone di riferimento, i tre mostrano di essersi ingegnati con energia a miscelare quanto appreso sui comuni ma ancor più sui rispettivi campi, conferendo credibilità alla proposta formula collettiva di “proggish post-jazz improv trio”.


Piuttosto fluente l’invenzione così come l’effettismo sapiente – divertenti ad esempio le onomatopee scimmiesche dell’introduttivo Monkeys, estraniante l’algida carnalità Drone e godibile (concediamocelo!) il marcato e spaziante clima Dance, toccante il suo acme nel rutilante Apostrophe: non immune da spettri vivi di Krautrock o non-vaghe ascendenze del domain crimsoniano (tra i più “storici” riferimenti), il ben abitato soundscape del trio si ripropone efficacemente nella sua costruttiva dimensione ludica, abile a rendere il polso di una vivida parte del trans-pop contemporaneo.



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