Kon-Tiki, il nuovo progetto di Francesco Ponticelli

Foto: copertina del disco










Kon-Tiki, il nuovo progetto di Francesco Ponticelli




Contrabbassista, compositore e leader, Francesco Ponticelli fa parte di quella nuova generazione di musicisti italiani che stanno dando un contributo fondamentale alla elaborazione di un nuovo linguaggio jazz che guarda anche al di fuori di questa musica, ma che ne riporta poi il tutto al suo interno. Questo suo nuovo disco in quartetto con Dan Kinzelman, Enrico Zanisi e Enrico Morello. è uno spaccato essenziale per comprendere l’idea che ha di jazz Ponticelli.



Jazz Convention: Kon-Tiki è il tuo secondo disco con la Tuk Music, dopo Ellipses.


Francesco Ponticelli: Si, è il disco in cui si concretizza il lavoro di diversi anni con il mio quartetto, e avere una collaborazione stabile con un’etichetta è fantastico, soprattutto se è una seria come la Tuk.



JC: A differenza del tuo disco precedente, qui hai “asciugato” la formazione registrandolo in quartetto con alcuni dei componenti di Ellipses.


FP: Dopo aver registrato Ellipses abbiamo iniziato a suonare molto assieme in quartetto. Adesso siamo molto affiatati e il disco ne è la conseguenza.



JC: Cosa vuol dire il titolo Kon-Tiki?


FP: Kon-Tiki è il nome di una zattera inca, diventata famosa quando l’esploratore Heyerdahl ne costruì una e ci attraversò il pacifico, dimostrando la possibilità dei flussi migratori tra Asia e Sudamerica in età precolombiana. Non ho un’idea chiara del perché abbia scelto questo titolo. Sicuramente c’è il tema del viaggio. Poi a volte penso a tutta la musica che l’umanità ha composto e di cui non ha lasciato traccia. Quella che chiamiamo “tradizione musicale” è una parte piccolissima di quello che c’è veramente stato. Quelli che si interrogano sul passato più antico devono avere molta fantasia, perché ci sono pochissime tracce materiali da seguire. E questo è simile a quello che dovrebbe fare un musicista, solo che deve cercare quello che ancora non c’è. Volevo dare un nome ispirato a Magellano, poi un mattino una ragazza mi ha parlato di Kon-Tiki e ho deciso di chiamarlo così.



JC: Tu sei anche un compositore oltre ad un contrabbassista: in questo tuo nuovo disco i nove brani sono originali e portano la tua firma.


FP: Scrivere è un’attività importante, mi serve da bussola. Sento quando una cosa che scrivo è mia, ho la sensazione di riconoscermi in quello che ho fatto. Scrivere ti dà anche la certezza della tua linea, del tuo percorso, al di là delle mode passeggere. Poi c’è il problema che se fai solo il “sideman” e nessuno ti chiama sei un disoccupato. Invece se scrivi, quando suoni non vedi l’ora di stare a casa a scrivere, quando scrivi non vedi l’ora di suonare… ma non è un circolo vizioso.



JC: In Kon-Tiki usi meno l’elettronica: è un progetto basato molto di più sull’estetica free.


FP: Kon-Tiki è un disco fondamentalmente acustico, che porta con sé il suono del quartetto per come si è sviluppato dal vivo in questi anni. Non ci sono improvvisazioni radicali. L’improvvisazione è sempre inserita nel brano, a volte su un giro armonico, a volte soltanto su un’indicazione metrica, a volte è il commento a una melodia scritta che si muove parallelamente.



JC: Il tuo è un progetto che condensa al suo interno lirismo, cantabilità e melodia nonostante la costruzione dei brani sia molto articolata.


FP: Ogni brano ha avuto una gestazione abbastanza lunga: cambio continuamente le forme, gli accordi, la durata delle battute. Già adesso suoniamo alcuni pezzi in modo diverso dal disco. Questo porta a una crescente complessità ma se è inserita in un lavoro di gruppo poi anche le cose difficili diventano facili, cioè spontanee, ed emerge la cantabilità.



JC: Underground Railroad è il brano più affascinante del disco: qual è la sua genesi?


FP: È iniziato suonando al pianoforte una melodia in re maggiore con la destra e con la sinistra delle quinte che si muovevano un pò a caso. Dopo un pò ho sentito la progressione armonica che mi piaceva. Poi ho cercato di capire quale fosse il metro della melodia, ed è una battuta da 4/4 e una da 9/8, suona molto fluido. Ha un suono un pò bluesy, così ho pensato di chiamarlo Underground Railroad.



JC: Ellipses e Kon-Tiki rappresentano due momenti diversi ed evolutivi della tua musica. Quali trasformazioni subirà ancora il jazz di Ponticelli?


FP: A novembre presenterò un sestetto dal nome “Big Mountain, Small Path” con Tittarelli, Presti, Zanisi, Carbonelli, Morello. Sto scrivendo musica nuova per questo gruppo e mi sento tanta energia da metterci dentro.




Segui Flavio Caprera su Twitter: @flaviocaprera