Intakt Records – CD 281 – 2017
Elliott Sharp: chitarra
Mary Halvorson: chitarra
Marc Ribot: chitarra
Cosa attendersi da una incisione la cui line-up ha già molto anticipato sul piano del programma e degli attendibili stilemi?
Nessun apparente bisogno d’introduzione per i componenti di questo trio a sensazione, a partire da un’idea di Elliott Sharp, chitarrista ed inventore di lungo corso che qui arruola l’inventiva Mary Halvorson (indiscussa protagonista e successore non dichiarato dell’anti-estetica baileyana), completandosi la triade con l’iperattiva personalità di Marc Ribot – “last” ma nient’affatto “least” (come nessuno dei presenti peraltro), e che di suo apporta una verve in cui non è disconoscibile l’ampia impronta jazz-blues.
Di profilo autoriale più esteso e storicamente più completo fra i tre, il catalizzatore Elliott Sharp si dispone quale regista inter pares, ed argomentando sul proprio strumento garantisce che «non cessa di stupire per le sue qualità caratteristiche, la sua inesauribile capacità di essere molti strumenti insieme, rimanendo comunque chitarra», ma le differenti incarnazioni che ognuno dei convenuti ne offre ribadisce quanto sfaccettato sia da gran tempo divenuto l’oggetto/utensile. Di questo, le articolazioni più “naturali” non vengono qui però disconosciute a priori, offrendone anzi a più riprese un tessuto leggibile; registrandosi più “intro” dalle linee pulite e terse, che aprono a impennate più radicali.
Progettualmente devoluto a diverse performances in duo, per il loro più stretto carattere di conversazione rispetto al trio, che implica «un differente tipo di bellezza ed un bilanciamento dinamico», la sequenza non ha omesso l’opportunità di svariati “solo”, che meglio tratteggiano le diverse personalità dei partner.
Aperto e fluido lo schema dei vari passaggi, in cui sarebbe poco centrata l’identificazione del tale o tal altro influsso o contributo, agendo il trio quale organismo multicefalo movente piuttosto alla propria auto-esplorazione.
Tralasciando i valori aggiunti della frequentazione ultratrentennale tra i due più anziani solisti, e la collaborazione già decennale con la più giovane Halvorson, il chitarristico, fitto meeting funziona anche in virtù di un editing di post-produzione, cui si deve in apertura il “trio virtuale” in formazione completa (Blindspot), determinato da conflitti d’agenda dei tre ma immaginando l’ipotetica presenza del partner assente, e lasciando scorrere non minime quote di humour e complicità.
La vena (in)formale semi-iconoclasta del trio viene incanalata entro flussi comunicativi in cui non vengono disattese certe, prestabilite tensioni formali; l’incontro tra le energie e le diversamente codificate visionarietà dissemina segni non del tutto effimeri, comunque mai contraddicendo i fondamentali di un incontro ai sensi di un dichiarato manifesto di libertà.
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