ECM Records – ECM 2489 – 2017
Aaron Parks: pianoforte
Billy Hart: batteria
Ben Street: contrabbasso
Maestria alquanto peculiare, quella del pianista-rivelazione Aaron Parks, la cui carriera già ventennale appare tratteggiata da traiettorie apparentemente non-lineari, considerando soprattutto il ventaglio delle più recenti e differenziate esperienze, non sempre di netta diffusione mediatica, comunque contributive al proprio affinamento d’identità, cui non ha giovato in minore la pratica regolare e protratta di accompagnamento a talenti del canto.
Tornato alla formula-trio dopo un recente escursione in terra scandinava (in associazione ai danesi Karsten Bagge e Thomas Fonnesbæk), la titolarità nuovamente ed appena proposta per ECM (seconda per la label, in realtà ottava in assoluto) lo vede triangolarsi con esponenti in apparenza distanti per estrazione di scuola e generazione: non esente da estri quanto di ruvido tocco il più giovane contrabbassista quanto carismatico e spesso sorprendente il veterano Billy Hart, la naturale e felice vena cantabile di Parks trova implementazione in un’assortita sezione di sostegno, riccamente partecipativa alla scultura sonora.
Così fin dalla “concreta” e decisa discesa in pista con Adrift, s’apprezzerà quanto il calore lirico ed il sortilegio melodico, già apprezzati e tipici del Nostro, “scendano” funzionalmente ed apprezzabilmente a patti con l’intenso e bifronte groove, forgiato tra il drumming tattico e sferzante del sempre grande Hart, di concerto con il pulsante scavo ligneo dagli estri contenuti di Street, fluidificando quindi nello swing caldo e controllato in Song for Sashou, o nel lento e caloroso flusso dell’elegiaca Unravel; acquisice quindi forma il vivace acquario sonoro di Hold Music (di sincopata e trasparente ritmica in cui il basso copre la mosse della mano sinistra), la sapiente esposizione in obliquità delle logiche evansiane in The Storyteller, ispirazione ripresa più alla lettera in First Glance, cedendo il passo alla luminosa promenade di Alice, uscendo di scena con passo lieve nella rappresentativa, eponima Find the Way.
Non suona certo come una novità che il dotato Parks riesca nel “trovare il modo” di plasmare una sintesi personale, qui ulteriormente rinnovata, delle proprie istanze espressive, ed intraprendendo un tragitto differente rispetto al precedente, solistico album Arborescence, (che ne sanciva tratti di geniale individualismo) il presente si palesa meno “sperimentale” e palesemente meno individualista, considerato il determinante apporto della personalità dei partner: non ripetendoci dunque sui meccanismi vitali del lavoro, in Find the Way non si disconosce il valore della ricerca armonica così come del critico valore dell’interplay, qui certamente determinante nel vincente bilancio degli equilibri d’insieme.