Foto: Vilmo Delrio
Branford Marsalis Quartet With Special Guest Kurt Elling per i trent’anni di Albinea Jazz
Albinea, Albinea Jazz – 13.7.2017
Branford Marsalis: sax tenore, sax soprano
Joey Calderazzo: pianoforte
Eric Revis: contrabbasso
Justin Faulkner: batteria
Kurt Elling: voce
Albinea Jazz ha festeggiato con un grande successo il suo trentesimo anniversario. Il prato prospicente la scenografica neo-classicità della Villa Arnò (“Wanderful Castle”, così l’ha definita Kurt Elling all’inizio del concerto) era gremito a tal punto che molti spettatori hanno seguito il concerto seduti sull’erba.
In effetti, gli ingredienti per una buona riuscita della serata c’erano tutti: in primis un nome come quello di Branford Marsalis noto anche al di fuori della cerchia degli appassionati di jazz e la presenza di un cantante e quindi la promessa di una certa “leggibilità” della proposta musicale. Questi elementi hanno fatto premio anche sul costo sostenuto del biglietto d’ingresso. Onore comunque alla bravura degli organizzatori, che da trent’anni portano jazz di alto livello, con un’organizzazione davvero impeccabile, in questo piccolo paese del preappennino reggiano.
Il concerto è iniziato con una corposa, coltraniana introduzione del quartetto. Kurt Elling è entrato dopo qualche minuto con un’acrobatica interpretazione di un classico di Gershwin, Theres a Boat That’s Leavin’ Soon for New York, nella quale ha sfoderato una sequenza in scat che ha subito acceso il pubblico. A seguire un’incantevole ballad come Blue Gardenia e un brano di Jobim, So Tinha De Ser Com Voce. Per tutto il fluire della serata, il gruppo ha alternato brani cantati con poderose sequenze strumentali. Justin Faulkner è un batterista molto eclettico, talora travolgente e muscolare, ma anche capace di entrare senza problemi nel clima delle ballads. Joey Calderazzo si è distinto soprattutto come accompagnatore, ma ha anche sfoderato un paio di assoli di grande lirismo. Il suono di Eric Revis è profondo e denso, intrigante. Branford Marsalis ha suonato da par suo, regalando al pubblico bei momenti d’ispirazione melodica e passaggi travolgenti in cui si sentiva tutto il suo amore per Trane e tutta la sua profonda conoscenza della storia del sassofono jazz. Particolarmente pregevoli alcuni suoi duetti con il cantante, in modo particolare quelli ascoltati durante l’esecuzione di un suggestivo brano di Sting, Pratical Arrangement.
Kurt Elling ha tutto quello serve per piacere al pubblico: una voce bellissima da crooner, una certa capacità acrobatica nelle improvvisazioni in scat (ha d’altronde un’estensione vocale di quattro ottave), una notevole capacità scenica e di “narratore”.
Tutti questi saporitissimi ingredienti hanno dato vita a una serata piacevole e divertente. Alla fine, tuttavia, il jazzofilo militante non poteva non sentire una certa, vaga insoddisfazione; non poteva non accorgersi che il quintetto non decollava. Lo si è avvertito in modo particolare nell’ultimo brano, in tempo velocissimo, basato su dialogo improvvisato fra le voci di Elling e del sax soprano. La grande abilità tecnica dei due musicisti non è riuscita a nascondere una sensazione di artificiosità, un sapore di scontato, di mancanza di comunicazione poetica.
Questa sensazione si è avvertita ancora di più nel bis proposto dalla band, l’immortale, Saint James Infirmary. Elling ha cantato il tema imitando la voce di una tromba prima e di un trombone poi, entrambi “sordinati”. Un effetto speciale divertente ma fine a se stesso, che non ha aggiunto niente di rilevante all’atmosfera arcaica e struggente in cui si muovevano gli strumentisti. Se Revis ha introdotto il vecchio blues con un solo poderoso e Marsalis ha evocato per qualche minuto lo spirito benedetto di Sidney Bechet, Elling è apparso un po’ fuori luogo, scolastico, poco convincente.
In altre parole il progetto complessivo del gruppo, pur restando nell’ambito di un’altissima professionalità e di un’alta qualità esecutiva, non appare compiuto. La voce umana e quella degli strumenti ancora non si legano. La proposta risulta, al momento, più efficace in disco (Upward Spirales, del 2016) che non dal vivo.
Il pubblico è stato tuttavia calorosissimo, chiedendo a lungo un altro bis che non è arrivato.