Foto: la copertina del libro
Gerlando Gatto. Gente di Jazz
Euritmica/KappaVu – 2017
Ventitre interviste realizzate nel corso degli anni a musicisti italiani e stranieri e “declinate” in modo da investigare il ruolo del jazzista e lo stato attuale del jazz. Gerlando Gatto propone una fotografia – senza troppi “filtri” – del modo di vivere il jazz: conduce con le sue domande i vari musicisti a interrogarsi in modo schietto sulle questioni che li coinvolgono, affianca il suo ruolo di osservatore informato dei fatti per trovare il modo di tracciare un quadro complessivo grazie alle opinioni espresse nelle risposte. Temi ricorrenti come le differenze tra jazz statunitense e jazz europeo oppure il riferimento geografico al Friuli e, in particolare, al festival Udin&Jazz o, ancora, il ruolo della didattica costituiscono la tessitura del libro che si concentra sulle “biografie jazzistiche” dei singoli protagonisti: le interviste infatti sono spesso slegate da fatti contingenti come possono essere l’ultimo disco pubblicato o il concerto ai margini del quale avviene l’incontro e, comunque, Gatto trova sempre il modo di affrontare l’educazione musicale del musicista di turno e il suo punto di vista sullo stato dell’arte.
Ed è, appunto, con le risposte date agli argomenti “condivisi” nelle varie interviste che il ritratto diventa sfaccettato e plurale, coerente nel rispecchiare le differenti opinioni e un panorama che “raccoglie” sotto la medesima denominazione – “jazz”, appunto… – interpreti con storie e intenzioni davvero divergenti in alcuni casi. Personalità e omologazione, capacità di distinguere la propria identità e il desiderio di far parte di una comunità, sia pure dai confini labili e larghi. «La spontaneità è una delle caratteristiche fondamentali della mia musica» afferma Martial Solal e sembra proseguire le affermazioni fatte poche pagine prima da Giancarlo Schiaffini sull’omologazione come una delle possibili conseguenze negative dello studio attuale del jazz, molto più sistematico e “preconfezionato” di quanto poteva essere nei decenni passati. Così come le modalità e le ragioni della composizione diventano un testimone che passa dalle risposte di Claudio Fasoli e Franco D’Andrea e giunge nelle mani di Maurizio Giammarco o Roberto Gatto. E lo stesso accade con altri argomenti come la tecnica di base, per l’impeto dell’improvvisazione, per il richiamo agli standard – o la distanza da quelli, a seconda dei casi – e la ricerca del suono: ogni spunto ritorna nelle domande e viene sviscerato secondo prospettive diverse per costituire un disegno complessivo formato da tante tessere particolari e non perfettamente allineate ma capace di fornire al lettore una visione di insieme. D’altronde, è un mondo particolare quello dei jazzisti, spesso più inclini a sottolineare le differenze più specifiche che a mettere in evidenza i fattori comuni: le differenze esistono, sia pure talvolta in quantità davvero esigue e sottili, e rappresentano la vera ricchezza della scena, questo non lo si nega e, anzi, è un aspetto che si ricerca nei dischi e nelle esibizioni dei vari interpreti; alle volte, però, andrebbe messo maggiormente in risalto l’aspetto “comunitario” come, ad esempio, emerge nel libro di Gatto e che rende in ugual modo interessante il percorso artistico e musicale dei singoli in relazione al momento storico e alle intenzioni degli altri e che può fornire chiavi di lettura ulteriori anche per il pubblico meno inserito nelle questioni interne del jazz.
Il legame con Udin&Jazz, oltre alle domande di Gatto, viene saldato anche dalle fotografie scattate da Luca D’Agostino e che portano agli occhi del lettore le esibizioni e i ritratti dei protagonisti colti nell’ambito del festival friulano.
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