2017
Angiolo Tarocchi: conduzione
Marcello Noia: sax alto, clarinetto
Francesco Chiapperini : sax alto, clarinetto basso,
Francesco Bianchi: sax alto, tenore
Giulio Visibelli : sax tenore, flauto
Daniele Cavallanti: sax tenore
Marco Motta: sax baritono, clarinetto
Paolo Russo, Paolo Milanesi, Marco Fior, Vito Emanuele Galante: trombe
Beppe Caruso, Mauro Ciccarese, Andrea Baronchelli, Alessio Nava: tromboni
Alberto N.A. Turra: chitarra
Rosario Di Rosa: piano, sintetizzatore: FX
Valerio Della Fonte: contrabbasso, basso elettrico
Cristiano Calcagnile: batteria
Sarah Demagistri: voce
Una vera big band, quella messa insieme da Angiolo Tarocchi per questa incisione. Vera nel senso del numero dei componenti e, soprattutto, nella loro qualità. Basta guardare l’organico del gruppo per capire che il compositore (suoi tutti i titoli) ha raccolto intorno a se il meglio della scena jazz milanese. Impresa non da poco, in questi tempi di ristrettezze e difficoltà.
Tanto lavoro non è andato invano. Unwired è un disco splendido, che cattura l’ascoltatore fin dalle primissime battute e non concede mai pause.
Come suggerisce l’autore fin dalle rapide note di copertina i cinque brani (in realtà quattro più un brevissimo estratto rimasterizzato, un souvenir di una precedente incisione del materiale dell’ultima traccia) navigano in acque sempre diverse, e sempre libere. Dal blues, alla forma canzone, alle esperienze più aperte e libere. Più che individuare però le tante correnti che alimentano il lavoro di Tarocchi è più opportuno porre l’accento su come in questa musica rivivano, animate da una scrittura molto personale il mito, il fascino, la poesia delle grandi orchestre della storia del jazz, dai grandi complessi swing a Gil Evans e oltre, da Jimmie Lunceford a Stan Kenton.
Senza il suono delle grandi band non si ha una percezione completa della vitalità e dell’eleganza di questa musica. E questo suono denso, opaco, o come lo ha definito qualcuno “mielato”, questo suono che aveva intrigato già negli anni ’40 tanti giovani europei che lo ascoltavano sulle onde corte della radio, rivive, trasfigurato, personalizzato, sempre più attuale e commovente nelle tracce di questo cd, negli impasti sonori, nella leggerezza, nel gioco sottile di alternanze fra tensioni e abbandoni lirici, nell’equilibrio perfetto e palpabile fra scrittura e improvvisazione.
Il vertice di questo lavoro, tutto da ascoltare è, in questo senso, la terza traccia, Dark Eyes, una struggente melodia mutuata da Ahsar Dzhigkaev, un compositore dell’Ossezia. Nei sette minuti del brano suona un’orchestra senza tempo, un’orchestra latina, davanti a un pubblico danzante, a ricordare quanto hanno avuto in comune jazz e ballo popolare. Difficile trovare un equilibrio tanto delicato fra tradizione e modernità, fra nostalgia e ironia. Pura poesia.
Rilevata, non solo per inciso, la qualità altissima dei vari momenti solistici, si può dire tranquillamente che Unwired è uno dei migliori dischi italiani degli ultimi tempi. Peccato che si esaurisca in sole cinque tracce. .