Foto: la copertina del disco
Le nuove produzioni “orchestrali” del sassofonista scozzese Tommy Smith
Tommy Smith è un musicista scozzese famoso per le sue collaborazioni con Gary Burton, Arild Andersen e altri nomi di spicco del panorama internazionale (Jack De Johnette, Kenny Wheeler, Lars Danielson e i “nostri” Pino Jodice e Giuliana Soscia). Nel 2016 sono usciti tre dischi in cui è protagonista il medesimo sassofonista britannico, incisi da tre diverse formazioni.
Il primo album, Effervescence, vede impegnata la Youth Jazz Orchestra, forte di venti elementi ed è il più tradizionale e, in un certo senso, prevedibile.
Il repertorio spazia da Benny Golson a Dizzy Gillespie, da Jerome Kern a Woody Herman ed è eseguito con attenzione vigile alle dinamiche dei brani. Gli arrangiamenti sono compatti e fluidi, tappeto ideale per introdurre gli assoli dei giovani orchestrali, giusti e corretti, mai, però, esaltanti. Insomma, pur apprezzando la solidità dell’impianto messo in piedi, non ci sono particolari passaggi tali da far gridare al miracolo. Tutto scorre gradevolmente, certo, senza, comunque, lasciare tracce significative nella memoria di chi ascolta
Va decisamente meglio con il secondo cd, Beauty and the beast, composto e diretto sempre dal cinquantenne bandleader di Edimburgo. In questo caso il solista ospite è un grosso personaggio della fusion, dagli anni ottanta in avanti, il sassofonista Bill Evans, lanciato nel firmamento internazionale da Miles Davis al suo ritorno sulle scene alla fine degli anni settanta. L’ensemble è costituito da diciassette unità, è più esperto e detiene il nome istituzionale di Scottish National Jazz Orchestra. Smith lavora sui contrasti cromatici, privilegiando soprattutto i colori scuri e gravi degli ottoni a far da corollario alla propulsione del sopranista e tenorista americano, uno che spinge parecchio sul suo strumento, mettendolo alla frusta, salendo in progressione altissima sugli acuti ed elaborando un fraseggio nitido, seppur sovraccarico di note e di effetti, vere e proprie sbrodolature volute. Il concept album vive, inoltre, sui contrasti fra il pieno dell’orchestra e le evoluzioni a serpentina, sguscianti e infuocate ad opera dello storico partner del “Divino”. In alcune situazioni, i fiati tacciono e rimane un quartetto classico jazzistico a dettare legge, a raccontare la storia. L’album conserva al suo interno, poi, armonizzazioni consone per motivi di impatto, coinvolgenti, per sottolinearne ancora la buona qualità globale.
Il terzo album è ambizioso. Già nel titolo, Modern Jacobite, si riallaccia alla definizione dei seguaci del giacobitismo, movimento politico favorevole alla ripresa del trono da parte degli Stuart sorto nel 1600. Siamo, cioè, in clima di celebrazione storica dei valori di autonomia, di indipendenza, di autodeterminazione del popolo scozzese. Sulle questioni di questo tipo da quelle parti si scherza raramente… La bacchetta del direttore, in questa circostanza, è in mano a Clark Rundell, che guida la BBC Scottish Symphony Orchestra. Il disco è racchiuso in tre lunghi pezzi, Vocalise di Rachmaninoff, Children’s songs di Chick Corea e l’eponimo, della durata di quasi mezz’ora, ad opera del compositore e solista principale, Tommy Smith. La musica ha un andamento molto sinfonico, non poteva essere altrimenti, con intermezzi folk di aria autoctona, parentesi delicate, romantiche su tempo moderato e sprazzi accidentati in accelerando. Domina sulla massa orchestrale la voce limpida, eterea del sassofono tenore, capace, però, di prendere corpo, di corrugarsi per mezzo di una sintassi ben delineata ed assertiva.
Questi tre cd, in sintesi, ci permettono di approfondire la conoscenza di un musicista un po’ appartato, non al centro dell’interesse generale, se non nel suo paese di nascita, dove è considerato alla stregua di una gloria locale. Tommy Smith è, ad ogni buon conto, compositore, direttore d’orchestra. strumentista di rango e merita gli incarichi e gli onori che riceve in patria e non solo.
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