Caligola Records – Caligola 2227 – 2017
Fabrizio Puglisi: pianoforte, sintetizzatore ARP, Fender Rhodes
Pasquale Mirra: vibrafono
Davide Lanzarini: contrabbasso
Danilo Mineo: percussioni
Gaetano Alfonsi: batteria
William Simone: batà, percussioni
Venus Rodriguez: voce in Ogun
La scelta dei brani, il nome e la conformazione del gruppo tolgono molti dubbi sulle coordinate musicali e geografiche del progetto guidato da Fabrizio Puglisi. Se Cuba – e, nello specifico, Guantanamo – rappresenta il punto di approdo della linea tracciata dal pianista, il sestetto si confronta con le varie declinazioni dei ritmi afro-cubani e dalle riletture jazzistiche proposte da Bud Powell, Lennie Tristano, Dizzy Gillespie, Randy Weston e tutti i musicisti che nel corso del Novecento sono andati a recuperare la matrice africana per rimetterla al centro della propria ricerca.
A partire da una macchina essenzialmente ritmica, Puglisi riesce a costruire un disco pulsante, sempre in spinta, in grado di utilizzare la compattezza sonora dell’ensemble scelto per lanciarsi su pedali ritmici ed esplorarne ogni possibile prospettiva. L’assenza di fiati permette al gruppo di concentrarsi sugli aspetti più meramente percussivi: senza lasciarsi distrarre più di tanto dalle necessità melodiche e senza rinunciare nemmeno alle dinamiche più ipnotiche, ossessive quasi, il sestetto si scatena in un serrato e intenso continuum sonoro, un’onda di energia sempre controllata. Anche nella registrazione, analogamente a quanto ascoltato dal vivo nel 2013 allo Zingarò Jazz Club di Faenza, Puglisi e i suoi musicisti danno vita ad un tessuto musicale denso quanto equilibrato. La capacità di giocare con le dinamiche – senza paura di operare per sottrazione, quando serve, e andare verso volumi molto contenuti – e una grande attenzione all’ascolto reciproco mettono a fuoco tutti gli aspetti del progetto e rendono estremamente unitarie le sei tracce di Giallo Oro.
Puglisi è senz’altro uno dei pianisti, allo stesso tempo, più eclettici e rigorosi del panorama italiano. Anche in questo lavoro – che si presenterebbe, tutto sommato, molto concentrato su una matrice ben precisa – riesce a disegnare una musica capace di avere sempre il potenziale di sorprendere o di prendere altre direzioni. È un’attitudine presente sia quando si apre alle psichedeliche spire della lunga parte finale di Turkish Mambo che quando affronta con diligente disciplina la tradizione cubana in Ogun o ne La Comparsa. E questa attitudine si riflette nel complesso del disco e permette quella gestione elastica dei vari elementi con cui riesce a dare continuità e spessore al discorso.
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