Vendemmia Jazz 2017. InPiano – X Edizione

Foto: Lucia Bianchi










Vendemmia Jazz 2017. InPiano – X Edizione

Alto Monferrato – 8-10.9.2017

Venerdì 8 settembre, Castello di Tagliolo Monferrato

Odorici/Pozza Duo



Piero Odorici: sassofono tenore

Andrea Pozza: pianoforte



Vendemmia Jazz è una piccola rassegna, nell’Alto Monferrato ovadese, che quest’anno raggiunge il suo decimo anno di vita. Traguardo forse neppure mai immaginato, come ci confessa l’ideatore della rassegna, traguardo ambizioso quanto meritato perché (O tempora, o mores) può essere impresa assai ardua riuscire a tener viva una iniziativa, pregevole e non popolarissima, a fronte di una costante scarsità di mezzi. Passione per il jazz, volontà di valorizzare un territorio a forte vocazione vitivinicola e turistica, il pianoforte: questi gli elementi caratterizzanti la presente edizione. Due soli concerti in periodo di vendemmia in due diversi, pregevolissimi, castelli dell’ovadese. Il duo Andrea Pozza-Piero Odorici ha suonato nel cortile del Castello di Tagliolo venerdì 8 settembre. Domenica 10, nelle cantine del Castello di Roccagrimalda, invece, è stato il turno dell’inedito trio di cui si parla più oltre. A parere di chi scrive, i pianisti sono stati i migliori, con una menzione speciale per Riccardo Zegna, attentissimo, di grande freschezza, raffinatezza e cultura musicale. Inedito era anche il duo Odorici-Pozza che, fors’anche per la scarsa conoscenza reciproca (e la poca sintonia?), si è mosso sulle coordinate di un modern mainstream, mirabilmente eseguito quanto privo di sorprese e, purtroppo, di emozioni. Il tenore di Odorici, sovente memore del primo Coltrane, nel suono più che nel fraseggio, è parso a proprio agio nei monkiani Wee See e I Mean You, poi a tratti distaccato quasi svogliato. Le innegabili doti di Odorici sono emerse in un meno battuto Isfahan reso con la giusta souplesse e grazia e in una ballad, anch’essa di coltraniana memoria. Poi ancora lo strayhorniano Lush Life, padroneggiato da Pozza in solitaria, il Coltrane di Central Park West e qualche standard tra cui il fin troppo abusato Estate. Il pianismo di ampia sintesi di Pozza, quasi enciclopedico, ha avuto modo di emergere in alcuni momenti di maggior respiro, con echi di Tatum e Powell. La maestria tecnica e la padronanza di linguaggio sono indiscutibili. È forse mancata, per contro, la giusta sintonia, la voglia di giocare e rischiare di più. Pubblico, comunque, soddisfatto e plaudente.


(Andrea Giuseppe Gaggero)



Domenica 10 settembre, Castello di Roccagrimalda

Marangolo/Zegna/Begonia Trio


Antonio Marangolo: sassofono soprano e tenore

Riccardo Zegna: pianoforte
Luca Begonia: trombone

Antonio Marangolo così introduce i due partners della serata: «Li conosco di fama, ma non ho mai suonato con loro…» Malgrado il preambolo poco rassicurante, il concerto fila via liscio o meglio contiene increspature e corrugamenti, che costituiscono l’elemento qualificante di una performance segnata da un lato da una coerenza di base e dall’altro dall’imprevedibilità di certe soluzioni adottate. I temi sono in larga parte a firma del musicista siciliano, ma sono “deformati”, come dice lui, o meglio sono rimodellati da tre personalità piuttosto distanti come scelte estetiche di fondo. Begonia, infatti, è un trombonista sulla linea del mainstream, capace, però, di assumere il ruolo di solista in big band meno legate alla classicità, come quella di Dino Betti. Zegna è un pianista dal tocco sopraffino, cultore di Monk e aperto verso una proposta innovativa, legata alla tradizione, ma con marcate componenti di novità. Marangolo ama riverniciare in jazz brani di musica leggera, oppure esegue volentieri originals in cui coniuga le sue passioni, da Bach ai contemporanei, con una buona dose di echi folklorici, senza dimenticare il Sudamerica.


L’inizio dell’esibizione coglie un po’ tutti di sorpresa. Il sassofonista introduce la campana del suo strumento dentro la cassa armonica del pianoforte e comincia utilizzando un linguaggio “avant-garde”, con lo spiegamento di note doppie o triple, suoni trascinati, puntate sui sovracuti. Zegna elabora una sequenza, ci lavora sopra e la mantiene viva e pulsante, ripetendola, per offrire un punto d’appoggio su cui possano operare i due fiati. Begonia risponde alle sollecitazioni del solista di casa, ponendosi sullo stesso piano idiomatico, cercando, allo stesso modo, di realizzare un fraseggio sincopato meno spinoso e dirompente. Il concerto procede così, concedendo poco all’uditorio e toccando diverse aree espressive. Si passa da arie cantilenanti a motivi con un andamento fluttuante, ondivago. Si va da una ninna nanna cantata da Marangolo ad una milonga.In certi momenti vengono tirate fuori citazioni imprevedibili, da Nino Rota a O’ surdato ‘nnammorato. È tutto all’insegna di un divertimento elitario, come precisa il leader del trio, complesso, ma appagante. Si chiude con un omaggio a Monk, portato avanti dal solo Zegna, per andare a parare, poi, in un blues della più bella acqua, eseguito con tutti i crismi, con l’alternanza di interventi quasi “canonici” da parte dei tre protagonisti della serata. Gli spettatori, numerosi e attenti, alla fine riservano applausi e consensi per una musica non certo facile da apprezzare e da condividere.


(Gianni Montano)