ECM Records – ECM 2526 – 2017
David Virelles: pianoforte, marimbula, cori
Román Díaz: voce, percussioni
Allison Loggins-Hull: flauto, piccolo
Rane Moore: clarinetti
Adam Cruz: steel pan, claves
Alex Lipowksi: percussioni
Matthew Gold: marimba, xilofono
Mauricio Herrera: ekón, nkonos, erikundi, claves, cori
Thomas Morgan: basso
Yunior Lopez: viola
Christine Chen, Samuel De Caprio: violoncello
Melvis Santa: cori
«Una futuristica musica da camera afro-cubana»; così il trentaquattrenne pianista cubano sintetizza il significato di questo suo progetto. La musica di Gnosis si articola su diciotto tracce, spesso molto, fin troppo, brevi; spunti e appunti di una ricerca sonora che cerca il suo senso e le sue radici nella tradizione culturale afro-cubana più profonda, quella esoterica e sincretista della Santeria. Virelles non si limita a sperimentare possibili fusioni fra il suo pianismo jazz e “contemporaneo” e il folclore afro-cubano.
Già il titolo esplicita il rimando a una conoscenza iniziatica, per pochi, misteriosa e remota. Nei brani in cui interviene il cantore Roman Diaz, cultore e depositario delle memorie profonde dei discendenti degli schiavi, usa una lingua africana e africana è la sua musicalità. Il suo canto suona come fortemente rituale, come il suono dei tanti strumenti percussivi usati nel disco.
Certo, non è questa l’unica chiave di lettura del disco. Virelles usa anche molto il piano solo e in brani come De Ida e de Vuelta 1 evoca una certa cantabilità popolare cubana che per poi avventurarsi in un territorio quasi impressionista. In brani come Tierra invece, il più lungo e articolato del disco, l’artista cubano usa molto anche colori jazzistici. La cifra del suo lavoro è però, prevalentemente quella dell’evocazione di un mondo sonoro tessuto di danze, rituali magici, colloqui con gli spiriti. Anche gli strumenti classici sembrano assolvere, a questa funzione così come il pianismo di Virelles, sempre al confine fra potenza sonora e rarefazione.
Il pregio di Gnosis è quello di non cadere mai nel collage e in una fusion di maniera. Il discorso artistico è sempre rigoroso. La Cuba di Virelles è un’esperienza esistenziale e culturale profonda e graffiante; non è mai un cliché.
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