Atelier Sawano – AS155 – 2017
Alessandro Galati: pianoforte
Gabriele Evangelista: contrabbasso
Stefano Tamborrino: batteria
Austero, sobrio, sempre misurato. Le dodici tracce di Cold Sand fotografano un piano trio compatto, animato da tre voci che dialogano in maniera paritaria e conducono insieme l’andamento del disco. Alessandro Galati, Gabriele Evangelista e Stefano Tamborrino esplorano tanto gli aspetti più lirici e melodici del formato, soprattutto nella prima parte del disco, che quali più timbrici e informali. La versione di Here, there and everywhere, settima traccia del lavoro, rappresenta il cambio di orientamento: se la prima rilettura del tema resta infatti abbastanza fedele all’originale, nelle improvvisazioni i tre trovano una chiave per avviarsi in una dimensione dove i riferimenti sono sottintesi e il gioco di interazione si fa più libero e ancora più condiviso. Here, There, Everywhere e Nowhere costituiscono così una piccola suite, fatta di episodi concisi e compiuti, un terreno utile per indagare le dinamiche interne al trio, una volta superate in maniera più decisa le “consuetudini” legate ai ruoli dei vari strumenti.
Ovviamente sono elementi che si ritrovano anche nella prima parte e che il trio ha nelle sue corde. Brani come Cold Sand, Mob Sick, Lucy’s Eyes, Nina, Nothing Much to Say e Schosty – vale a dire, i primi sei nella scaletta del disco – offrono un “binario” più leggibile tanto per l’ascoltatore che gli esecutori e vengono interpretati con maggiore attenzione ai canoni del piano trio: le composizioni di Galati non cercano necessariamente rifugio nella classicità del formato e sono aperte anche alle dinamiche più attuali. La disposizione personale, già presente nella prima parte, trova una esplicitazione più palese e convinta nella seconda parte del disco. Se si vuole, le prime sei tracce propongono all’ascoltatore le atmosfere – intime, anche scure e malinconiche, sicuramente asciutte ed essenziali come si diceva in apertura – e la suite permette al trio di addentrarsi nel dialogo musicale scaturito da quelle atmosfere.
Il brano conclusivo – Uptown – prende lo spirito del disco e prova a trasformarlo in una forma più vicina alla canzone: se l’obiettivo si sposta in maniera sensibile, non è a tutti gli effetti un tradimento del percorso seguito nelle undici tracce precedenti. Sicuramente, se l’apertura e il tema segnano uno stacco con quanto si ascolta fino a un attimo prima, molti dei presupposti presenti nel lavoro restano visibili e si ritrovano facilmente in quest’ultima traccia.
Un lavoro solido, capace di proporre un ascolto piacevole senza scendere a compromessi per quanto riguarda i contenuti.
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