Sergio Armaroli/Fritz Hauser – Structuring the Silence

Sergio Armaroli/Fritz Hauser - Structuring the Silence

Dodicilune Dischi – Ed 368 – 2017



Sergio Armaroli: vibrafono, percussioni, glockenspiel, crotali, elettroniche

Fritz Hauser: drum-set, percussioni







Ben prima dell’introduzione del “tacet” in partitura si è assunta profonda coscienza del ruolo del silenzio nella struttura e nell’articolazione del suono e deIl’esperienza musicale, non necessariamente quale elemento “altro” o ancor meno contrapposto a questi.


Ardua per l’essere vivente l’esperienza assoluta del silenzio (e su tutte ne varrebbe la beffarda esposizione di John Cage in 4’33”), ma la potenza ontologica e significante di questo elemento naturale, e d’implicazioni intuitivamente metafisiche, appare lungi dall’esser stato approfondito, stanti le ormai innumerevoli considerazioni espresse non solo da teorici musicali quanto e ben più da eterogenei pensatori.


Non a caso il citato, grande maestro americano viene ammesso tra i più autorevoli testimonials di quest’approccio, che qui è oggetto di un dialogo tra il nostrano ricercatore e percussionista Sergio Armaroli con lo sperimentato incursore elvetico Fritz Hauser, di affini propensioni strumentali e ideative.


Lungo il comune prodotto dall’estensione di due dischi, i centodieci minuti di Structuring the Silence sono articolati in sezioni di differente carattere: se nel primo i due lasciano emergere una quota d’efficace spontaneità, che conferisce alla controparte-silenzio un certo ruolo di interattiva camera di magnificazione degli eventi sonori, nel secondo si amministra una musicalità certamente più strutturata in cui emergono i tratti idiomatici più propri dei singoli interattori.


Così, le tre misure dell’eponima suite Structuring the Silence, cui s’accoda la sequenza From A to G, s’affida ad un approccio che suona naturalistico, sorta di presa di contatto e consapevolezza con le incombenze ambientali dell’evento percussivo, in cui massimali appaiono gli elementi di aleatorietà ed incidentalità, disvelando a più riprese uno stato di verace e primigenia meraviglia, laddove nei materiali del secondo disco, scanditi lungo tredici misure, da parte delle bacchette di Armaroli si dipana una musicalità di temperamento acqueo, con ricchezza e fluidità fraseologica che non disconosce affatto morfologie o andamenti ritmici propri della forma-jazz, magari più sferzante e teatrante il carattere la percussione di Hauser, e nei rispettivi interventismi s’avvicendano componenti assertive e di non latente implicazione polemica.


Operando entrambi una partecipante scansione vibratoria, di spirito sia pur differente, ma interattivo e complementare per tendere ad una “strutturazione del silenzio” – secondo il tandem Armaroli/Hauser – questa è intesa e sviluppata con modalità nel complesso coerenti alle costanti esecutive di “scultura vivente”, e nei fatti è così che la stessa è palesata e fruibile: all’articolato lavoro si può conferire una globale resa degli intenti di “teatro della percussione”, forte di elementi d’interesse che s’affermano oltre le premesse, in cui l’assortita diade tributa fattive attenzioni al potente elemento in oggetto, compartecipando delle seduzioni del gesto musicale e dell’immaginazione creativa.



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