Foto: Archivio Fabio Ciminiera
La sottile arte del quartetto
Max Ionata Quartet
Vercelli, Piccolo Studio – 6.10.2017
Max Ionata: sax tenore
Andrea Pozza: pianoforte
Marco Micheli: contrabbasso
Nicola Angelucci: batteria
Poker Quartet
Casale Monferrato. Accademia Filarmonica – 20.10.2017
Luigi Bonafede: pianoforte
Marco Vaggi: contrabbasso
Francesco Sotgiu: batteria
Flavio Boltro: tromba
I casi della vita fanno davvero riflettere sulla grandezza espressiva del jazz, per come viene suonato ai giorni nostri, diverso rispetto ai tempi andati che assommano ormai a oltre un secolo. Ci sono però dei punti cardine che non si possono trascurare. Nel suo ultimo romanzo, un ottimo scrittore italiano vivente tratta di matematica – che da ragazzino non voleva studiare – e parla di jazz, che gli piace e lo definisce: «forma musicale, metafora, a differenza di altre, dell’esistenza.»
Perché questo preambolo? Il jazz è musica imperfetta, improvvisazione lenta, composizione veloce, per dirla alla Charlie Parker, scritta in un modo, interpretata in un altro. Come si sono evolute nel tempo le formazioni? Si sono adattate alla necessità, ma mantengono il carattere di unire musicisti che, insieme, sentono di potersi meglio esprimere, ogni strumento si impieghi ha una capacità espressiva propria che riflette la personalità dello strumentista, il suo modo di relazionarsi con il gruppo. Ormai persino la batteria è suonata in interplay, non è più solo di “accompagnamento”, fioriscono le composizioni originali e non ci si rifugia solo nello suonare, magari anche ottimamente, celebrati standard, che non si abbandonano del tutto perché certo pubblico altrimenti “resta a casa” ad ascoltare musica registrata, perdendo così l’accadimento.
Ma il jazz è vita, e quindi bisogna andare oltre: sempre. Trovare strade nuove e originali. Per cui andare ad ascoltare dal vivo una formazione, in teatro, con suono amplificato, oppure in una sala di Accademia, raccolta e idonea a un concerto acustico, può fare la differenza.
Il quartetto di Max Ionata, sax tenore, Andrea Pozza, pianoforte, Marco Micheli, contrabbasso e Nicola Angelucci, batteria, è stato protagonista, al Teatro Sociale di Valenza, il 6 ottobre. Sui meriti indubbi dei quattro musicisti non c’è necessità di dilungarsi. Hanno capacità tecniche e sensibilità spiccata per potersi “fondere” in quartetto: quel che ci si aspetta di ascoltare. Ed è sicuramente splendido il risultato quando questo accade, come quella sera è accaduto. Facile godere della musica da loro prodotta, sono momenti di empatia tra musicista e ascoltatore che suscitano emozione profonda. Anche la scelta del programma distingue dal semplice fare musica insieme. Due composizioni del leader: Bob’s Mood e Blue Art, una di Andrea Pozza: Max Said Sì, per spaziare poi ad una bellissima, poco conosciuta, What A Difference della messicana Maria Grever, passando da Luiza di Carlos Jobim e poi a Overjoyed di Stevie Wonder. Infine sia pianoforte che sax tenore, magistralmente suonati da Andrea e da Max, hanno interpretato due pezzi di ottima fattura jazz piuttosto celebri: Bitter Sweet e Apache Dance, rispettivamente di Cedar Walton e George Coleman, nobilitando così la possibilità espressiva dello strumento con composizioni di cui gli autori erano principi.
Due settimane dopo, all’Accademia Filarmonica di Casale Monferrato, si è tenuto il primo di due concerti jazz della Rassegna Books & Blues, promossa da “Il Labirinto”. Ad esibirsi altri quattro big che costituiscono il Poker Quartet, nome fantasioso e un poco scontato, con Luigi Bonafede, pianoforte, Marco Vaggi, contrabbasso, Francesco Sotgiu, batteria e – guest star – Flavio Boltro alla tromba. Tre strumenti comuni, come base ritmica, un’ancia e un ottone a fare la differenza: rispettivamente. Concerto amplificato il primo: acustico invece il secondo.
Anche il programma denotava diverso carattere: musica vigorosa, più sanguigna anche se delicata a tratti nel primo concerto, più introspettiva e malinconica, ma con qualche sprazzo brillante della tromba, nel secondo. Inventiva, freschezza e vitalità hanno costituito invece il tratto comune in entrambe le esibizioni. Per concludere che sono stati due ottimi concerti.
Il Poker Quartet ha suonato: Salina e First Smile di Boltro, poi Opportunit e Ben di Bonafede, ricreando poi le atmosfere un poco struggenti e malinconiche di I Can’t Get Started di Vernon Duke, seguita da There’s No Greater Love di Isham Jones, celebre successo di Billie Holiday e anche di Errol Garner e della sfortunata Amy Winehouse. Anche Sonny Rollins ne rese una stupenda interpretazione e, forse proprio per rendere omaggio al gigante vivente dell’hard bop, e non solo, il Poker Quartet ha concluso la serata suonando Oleo.
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