Hubro Music – Hubro 2599 – 2017
Erik Honoré: live sampling, programmazione, synth, basso synth, chitarra acustica, piano, percussioni, voce
con :
Sidsel Endresen: voce
Eivind Aarset: chitarra elettrica
Arve Henriksen: tromba
Streifenjunko:
Espen Reinertsen: sassofono
Eivind Lønning: tromba
Sheriffs of Nothingness:
Kari Rønnekleiv: violino
Ole-Henrik Moe: viola
Ingar Zach: percussioni
Jan Bang: live sampling
Erland Dahlen: tongue drum
Non certo pletorica, la discografia personale del multistrumentista, compositore e romanziere Erik Honoré può quantomeno fregiarsi del notevole carisma acquisito sul campo lungo una venticinquennale carriera: curioso che possa apparire, trattiamo dell’appena secondo album unicamente a propria firma, se non si volesse tener contro dei lavori co-intestati, rispettivamente con Jan Bang (Uncommon Deities, pubblicato nel 2012 presso Samadhi Sound, e certamente da recuperare!) e Greta Aagre (Year of the Bullet e Tuesday Gods, entrambi per JazzLand), oltre ad un quartetto tra “soliti sospetti” d’area norvegese, da cui qui tornano due figure ormai imprescindibili quali Arve Henriksen e appunto Jan Bang (Victoria).
A seguire dunque il precedente e “prodromico” Heliographs (2014), il nuovo album è tale nel senso illustrativo del termine, panoramica e a tratti spregiudicata meditazione, attraversata da segni ricorrenti nei percorsi del collettivo, la “inquietudine” del titolo facente riferimento non soltanto ai più recenti vissuti soggettivi del Nostro, ma in egual misura alle drammatiche ed incalzanti realtà del mondo contemporaneo.
A partire da improvvisazioni elettroniche su registrazioni dirette di interventi vocali strumentali, poi trattate con energica disciplina nel successivo editing, Unrest è esposizione alquanto distillata, albergante nelle proprie fibre forte energia atmosferica, tra ambigui carillon e vitree elettroniche, oltre al suggestivo apporto del cantato con non vaghi rimandi al mondo e al sound di un David Sylvian, già ispiratore e in varie guise passato collaboratore, qui liberamente evocato dalla performance importante e come sempre personale dell’autorevole musa Sidsel Endresen, e richiamato più alla lettera (ma in forma più elementare ) nel canto più “ortodosso” del medesimo Honoré.
Determinanti gli ingredienti formali offerti dalla partecipazione di iconiche personalità, felicemente ricorrenti e pressoché inevitabili in così estensiva, e già storica, fucina d’intercambio, alcuni dei quali riconoscibili entro formazioni ulteriori, testimonianza vivida ma ormai scontata del locale fervore ideativo.
Lungo traiettorie verso un non improbabile futuro prossimo, l’articolata falange di Honoré affresca un’ascetica riflessione sulla deplezione di senso e l’irrimediabile solitudine della coscienza, aggiornando il messaggio di teorici e scrittori d’anticipazione che dalla seconda metà dello scorso secolo diramavano scenari d’implicazione socio-antropologica: similare responsabilità autoriale sembra qui esprimere Erik Honoré, dispensando entro suggestive stanze musicali la propria visione sul divenire del Nu-Jazz e del correlato mondo ambientale, specchiandosi su angoscianti segni dal futuro cui testimonia da spirito inquieto e consapevole, e melanconico cyborg.