Autoproduzione – 2017
Zlatko Kaucic: direzione
Jan Jarni: chitarra elettrica
Peter Kastrin: chitarra elettrica
Matjaž Bajc: contrabbasso, basso elettrico
Jure Boršic: sax alto
Tomi Novak: batteria
Robi Erzetic: batteria
Žiga Ipavec: batteria, percussioni
Urban Kušar: batteria, percussioni
Bostjan Simon: elettronica
Il 2017 è stato un anno di ricorrenze secolari. Su tutte, sono state particolarmente celebrate la registrazione del primo disco di jazz e la nascita di alcune figure fondamentali come Ella Fitzgerald, Dizzy Gillespie e Thelonious Monk. Zlatko Kaucic alla guida del Kombo B propone una rilettura elettrica e rock-oriented del repertorio di Monk, una possibilità di unire linguaggi e suoni diversi sul filo delle melodie composte e rese immortali dal pianista statunitense.
La storia centenaria del jazz – una storia che supera di gran lunga la cifra tonda e affonda le sue radici quanto meno negli ultimi anni del diciannovesimo secolo – rende abbastanza facile pensare che sia stato suonato, sentito e riprodotto quasi tutto. Se poi aggiungiamo la quantità di progetti dedicati a Monk, anche prima del centenario, e se consideriamo che anche la storia del rock si snoda da oltre sei decenni, i margini per un’operazione del tutto originale si fanno ancora più esigui. Eppure, il percorso monkiano architettato dal batterista sloveno – qui in veste di direttore, arrangiatore e compositore – riesce a trovare soluzioni meno scontate e a tracciare un filo capace di incuriosire. Una serie di livelli sonori che si accendono e spengono all’occorrenza fa convivere in maniera incisiva suoni e campionamenti, cellule sonore originali e frasi dei temi di Monk, grammatica rock e stilemi jazzistici. D’altronde, come si accennava anche sopra, il materiale di partenza è stato suonato in migliaia di maniere diverse e si presta tanto alle interpretazioni canoniche quanto agli esperimenti più radicali grazie alla sua immediata riconoscibilità, ai suoi spigoli vivi e alla intensità, senza tempo e cristallina, delle melodie. Kaucic e il Kombo B non si spaventano del “già sentito”, ne sfruttano, se si vuole, i risultati come punto di partenza e spunto per la propria reinterpretazione.
Kaucic opera con molto rispetto nei confronti di Monk: l’impianto dei temi e le atmosfere che li caratterizzano restano sempre riconoscibili e centrali nello sviluppo del disco. La libertà espressiva del batterista viene utilizzata qui in una chiave diversa, come monito a non adagiarsi sui vari clichés musicali – tanto quelli tradizionali, quanto quelli delle avanguardie – e a tenere quanto meno una prospettiva personale nell’approccio ai brani. E, in questo modo, il Kombo riesce a non rimanere vittima delle varie insidie legate ad ogni tributo e trova una sua via per elaborare un ritratto atipico e meno rituale del pianista statunitense.
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