Cécile McLorin Salvant – Dreams and Daggers

Cécile McLorin Salvant - Dreams and Daggers

Mack Avenue Records – MAC1120 – 2017





Cécile McLorin Salvant: voce

Aaron Diehl: pianoforte

Paul Sikivie: contrabbasso

Lawrence Leathers: batteria

ospiti:

Sullivan Fortner: pianoforte in You’ve Got To Give Me Some

Catalyst Quartet in And Yet, More, You’re My Thrill, The Worm, Red Instead, Fascination:

Jessie Montgomery: violino

Karla Donehew-Perez: violino

Paul Laraia: viola

Karlos Rodriguez: violoncello






Cécile McLorin Salvant prosegue il percorso iniziato con For One to Love e lo fa in maniera coerente ed evolutiva. Dreams and Daggers infatti raccoglie il testimone del precedente disco e ne rilancia gli stimoli: innanzitutto il formato del disco doppio che contiene ventitre tracce, dove trovano posto standard celebrati e perle nascoste tra le pieghe dei musical e del repertorio meno consueto, oltre alle composizioni originali incise in studio con il quartetto d’archi; la maggior parte del disco è stata registrata dal vivo al Village Vanguard nel corso di tre date tenute nel settembre 2016 dal quartetto; sei brani vedono la cantante, con o senza il trio, accompagnata dal Catalyst Quartet e danno una dimensione onirica e cinematografica allo svolgimento del disco. Infine, You’ve Got To Give Me Some – registrato sempre dal vivo in duo con il pianista Sullivan Fortner – è un felice momento dove trovano posto il blues, il jazz degli albori e le atmosfere del ragtime e diventa l’ennesima occasione per la cantante per esplorare i territori più profondi e ancestrali del suo bagaglio espressivo.


Queste le premesse di Dreams and Daggers. La dimensione del concerto è rilassata e divertita. Il quartetto è coeso e si mette sempre al servizio dei brani, asseconda ogni curva e svolta del materiale con uno spirito elegante e solido allo stesso tempo: i quattro riescono a combinare semplicità e virtuosismi con una attitudine lirica e diretta. La verve spiritosa dell’esibizione passa senza difficoltà attraverso la registrazione. E in questo modo, anche sulla distanza lunga e dilatata del disco doppio, non si perde il filo del discorso: un dialogo costante tra presente e passato, reso convincente dalla naturale disposizione dei quattro musicisti, dalla capacità di interpretare le atmosfere e il senso dei temi senza perdere il contatto con l’attualità e, in definitiva, dall’intensità con cui viene affrontata ogni nota.


Come accadeva già in For One to Love, Dreams and daggers mantiene assolutamente presente il rapporto forte e sicuro con la canzone e con gli scenari che questo formato riesce a disegnare. La voce di Cécile McLorin Salvant è uno “strumento” dotato di una notevole quantità di soluzioni e riesce così a comunicare attraverso il cantato e il testo, ma anche attraverso un’attitudine recitativa, una dimensione a tutti gli effetti scenica e evocativa. E il trio lavora in maniera egregia attorno a questo aspetto, utilizzando gli spazi e le tensioni contenute nei brani, amplificando e sostenendo le linee melodiche della voce, rispondendo e incalzando la cantante ad ogni passo in un gioco delle parti del tutto efficace e felice. Sorprese e passaggi obbligati diventano così gli ingredienti di un “racconto” musicale sostanzioso e condotto sempre con maestria. In ogni traccia – e citiamo, per tutte, Mad about the boy e Let’s face the music and dance – i vari elementi si uniscono con assoluta leggerezza e precisione e la dimostrazione viene dal costante dialogo che la cantante ha con il pubblico e con i suoi musicisti: il canto e l’interpretazione diventano senza filtri uno strumento per comunicare e per trasmettere emozioni. E questo diventa ancora più evidente quando il blues arriva in primo piano – Wild women don’t have the Blues e Sam Jones’ Blues – e coinvolge il quartetto, prima, e gli spettatori, poi, in un vero e proprio tripudio emotivo.


La scelta di inserire il quartetto d’archi offre una sorta di suddivisione del racconto del disco: un respiro capace di restituire slancio alle dinamiche complessive del concerto e rilanciare l’attenzione con un cambio di scena inatteso. Si tratta, in pratica, di sei interventi, anche relativamente brevi per quanto riguarda la durata, utili per offrire una prospettiva diversa al disco e al lavoro complessivo del quartetto.


Cécile McLorin Salvant e il suo trio confermano ancora una volta le promesse suscitate. Una formazione compatta, robusta, determinata, abile nel trovare ogni volta la soluzione per i vari passaggi e nel cercare, soprattutto, un raccordo tra tradizione e personalità e nel rendere vivo e pulsante un materiale estremamente classico e consolidato, affrontandolo con una partecipazione e uno slancio davvero consistenti.



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