Gli appuntamenti di febbraio con il jazz al Parco della Musica di Roma

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Gli appuntamenti di febbraio con il jazz al Parco della Musica di Roma

Dave Douglas Quintet | 9 febbraio

Brad Mehldau Piano Solo: Three Pieces After Bach | 17 febbraio

Lionel Loueke Trio | 28 febbraio



Torna il grande jazz nel cartellone di febbraio dell’Auditorium Parco della Musica di Roma con tre appuntamenti particolarmente interessanti. Ad aprire il mese è il quintetto guidato dal trombettista americano Dave Douglas, che farà poi ritorno a inizio marzo in compagnia del pianista Uri Caine, e completato da Jon Irabagon al sax tenore, Matt Mitchell al pianoforte e Linda Oh e Rudy Royston al contrabbasso e alla batteria. Il leader si è sempre contraddistinto, oltre che per una tecnica sopraffina, anche per l’estrema versatilità e la totale libertà consentitagli anche dall’aver fondato nel 2003 una sua casa discografica, la Greenleaf Music. In questa tappa romana si presenta a capo della sua formazione più classico e fedele, messa su con questi elementi già nel 2012 e con la quale ha registrato tre dischi, con una nuova uscita in arrivo nei prossimi mesi. La scaletta del concerto riprende temi racchiusi nei tre album già pubblicati più qualche inedito, per un jazz diretto, armonicamente impegnativo, dove trovano spazio le lunghe improvvisazioni di Douglas e compagni e in cui i ripetuti scambi e l’interplay divengono fondamentali, anche se mai trascendentali. C’è tempo anche per due omaggi al pianista italiano Franco D’Andrea, con il quale il trombettista ha più volte negli anni passati condiviso il palco, e al contrabbassista Charls Mingus, vera fonte d’ispirazione nella scrittura e nella concezione della sua musica, in un brano originale eseguito dal vivo per la prima volta dai cinque. Una formazione che si conferma potente e diretta soprattutto nella ritmica, ma che manca di una certa originalità e varietà, troppo ancorata nelle notevoli doti del suo leader che sembra però non trovare mai adeguati spunti dagli altri membri di una band tuttavia ormai collaudata.


Sicuramente più atteso, con un prevedibile pienone, il ritorno in piano solo di Brad Mehldau per l’anteprima di un bel progetto dedicato a Bach, con un disco in uscita a marzo per Nonesuch Records. Nel 2015 fu la prestigiosa Carnegie Hall a commissionare al pianista tre composizioni ispirate al primo e secondo libro de “Il Clavicembalo ben temperato” di Bach, e da lì l’idea di una rilettura originale ben diversa da quelle già battute da tanti pianisti di jazz dalla metà degli anni Cinquanta. Un concerto diviso in due parti in cui il pianista suona il brano di Bach subito prima della composizione che l’ha ispirato, così da far intendere all’ascoltatore i rimandi in tempo reale. Lo studio e l’arte di Mehldau proietta in un’atmosfera di altri tempi, sospesa, affascinante: nei preludi l’intento è quello di risaltare l’aspetto ritmico di Bach, che spesso evoca la danza, a differenza delle fughe, più malinconiche, in cui l’armonia cambia di continuo in modo ciclico, sostenuta da lunghi pedali, prima della Toccata finale, il più audace dei tre brani originali, con diversi cambi di metro e tonalità. Tre standard, scelti come bis, invece concludono con delicatezza e romanticismo una serata sublime che ci testimonia ancora una volta quanto rivoluzionaria fosse la musica di Bach, culmine e punto finale di una tradizione che già prefigurava il futuro.


A fine mese è la volta di un musicista particolarmente amato dai suoi colleghi: definito da Hancock come un pittore musicale, il chitarrista africano Lionel Loueke è in tournée con il suo primo trio storico formatosi ai tempi del Berklee College e composto da Massimo Biolcati al contrabbasso e Ferenc Nemeth alla batteria. Brani nuovi e vecchi si susseguono con estrema armonia e eleganza, con i tre complici di una musica d’insieme sempre ben amalgamata. Meno entusiasmanti nei momenti più sostenuti e virtuosi, con il volume della batteria che spesso sovrasta gli altri due musicisti, i brani si fanno decisamente più accattivanti quando vengono fuori i richiami al blues africano, con la delicata chitarra arpeggiata di Loueke che rimanda a luoghi lontani. L’estrema dolcezza, con Loueke che sembra quasi sfiorare le corde del suo strumento, una sensibilità fuori dal comune e anche una bella voce fanno del musicista originario del Benin una delle più belle figure del panorama odierno in un miscuglio di suoni e esperienze che sono la vera essenza di una musica a tratti davvero incantevole.



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