Franco D’Andrea Octet – Intervals 1

Franco D'Andrea Octet - Intervals 1

Parco della Musica Records – MPR 91 CD – 2018




Franco D’Andrea: pianoforte

Andrea Ayassot: sax alto, sax soprano

Daniele D’Agaro: clarinetto,

Mauro Ottolini: trombone

Enrico Terragnoli: chitarra

Aldo Mella: contrabbasso

Zeno De Rossi: batteria

Luca Roccatagliati (Dj Rocca): elettronica





Intervals I è la sintesi della musica di Franco D’Andrea, il punto di arrivo, ma soprattutto un nuovo punto di partenza. Sono le sue colonne d’Ercole: con questo disco comincia una nuova esplorazione verso mondi ignoti che solo lui, astrattista visionario, sa come raggiungere. Poche coordinate e poi via verso l’ignoto, improvvisando rotte e captando nuovi suoni provenienti da un mondo sospeso tra passato e futuro del jazz. D’Andrea potrebbe anche essere uno scrittore di fantascienza, costruttore di universi e storie, narratore di passati che si fanno futuro e diventano presente. Si perchè, quanto più concreto e stabile è il quotidiano di D’Andrea, tanto più provvisoria, instabile e sottoposta a continui cambiamenti e invenzioni è la sua musica. Si odono in lontananza echi di Mingus ma non del suo panteismo metropolitano, perchè D’Andrea non lega la sua musica al quotidiano ed alle sue influenze. Lui la distacca, assorbe la realtà, in parte, e la fa confluire nel suo mondo, che è solo suo. E poi avanti con un richiamo, di pianoforte e non di tromba come potrebbe essere, una sveglia temporale, un’adunata blues, non rude ma dal fascino classico e creolo nello stesso tempo. Non è l’Ellington del jungle sound e né l’Armstrong “sbraitante” degli Hot Five. È Franco D’Andrea che apre Intervals 1, attraverso una sequenza ostinata di pianoforte che incontra le pulsazioni elettriche di Dj Rocca e la fibrillante andatura del basso di Aldo Mella. È un muro di suono quello che si alza piano piano come fosse una cascata all’incontrario, tra gli stridii dei fiati che entrano in scena e un pianoforte che risale la corrente con costante e precisa andatura. È un’esplosione timbrica, avvolgente, che toglie il fiato, satura l’aria, e che si stempera tra riverberi primordiali di trombone e devianze elettriche di chitarra ed effettistica. È la title track del primo, live, dei due dischi (il secondo registrato in studio sarà pubblicato in autunno) che Franco D’Andrea ha realizzato con il suo ottetto, composto dal fido sestetto a cui si aggiungono Luca Roccatagliati (Dj Rocca) all’elettronica e Enrico Terragnoli alla chitarra. Roccatagliati era già comparso in un disco precedente di D’Andrea, questo invece per Terragnoli è l’esordio assoluto. C’è da aggiungere che D’Andrea poche volte ha avuto un chitarrista nelle sue formazioni, se si esclude il Perigeo, e Terragnoli pare essere una felice intuizione del pianista, una sorta di battitore libero che si muove tra le linee seguendo il suo estro e cultura chitarristica.


È la volta di Afro Abstraction, titolo che la dice lunga sull’idea di jazz del pianista meranese. Sono i fiati a farla da padrone, almeno inizialmente, dove un accenno di bolero al sax apre le danze. Piano piano s’insinua la batteria, poliritmica, affiancata da Dj Rocca e da un solido contrabbasso. Il ritmo è nato, contrappuntato dall’aritmia della chitarra di Terragnoli. È un crescendo all’insegna dell’improvvisazione, con i musicisti che vellutati e minimali fanno il loro ingresso uno a uno nella struttura organica di un elemento dalle grosse dimensioni ma che si agita e muove con la stessa leggerezza di un serpente. In questa suite “mondo” succede di tutto, tra rimandi e specchiamenti che farebbero arrossire persino Lewis Carroll. Intervals 2/M2+m3 si avvia inquieto, cavernoso, sotto gli effetti stravolti di chitarra ed elettronica. Un edificio che viene su lentamente, umbratile, istintivo ma razionale, con fondamenta cementate nel tempo e attraversate da cavi di modernismo elettrico. A4+m2 invece vede Aldo Mella aprire, improvvisando, il brano e lanciando qua e là micro cellule di temi ovattati da siderali effetti elettronici che danno profondità e fanno da preludio all’entrata in scena del pianoforte. Questi sbilenco e monkiano, si tira appresso l’intero combo, tra sviolinate blues, swing alla Tatum, Lacy e un orgia di modernismo al cubo.


Il round seguente comincia con un assolo di perizia pianistica, assoluta, uno scorrere e inseguirsi di tasti all’interno di un percorso apparentemente senza uscita; e poi, all’improvviso, una porzione di tema che D’Andrea lancia nello spazio, già contaminato dai rivoli timbrici di Dj Rocca apre Air Waves. E quel tema si sviluppa e se ne aprono altri, al cui interno una ritmica possente, funky, cresce e si vede attraversata da profonde rasoiate di chitarra. Nel mentre una pulsazione sotterrane continua a mantenere la rotta attorno alla quale l’intera band improvvisa secondo un caos ragionato. Da questa discesa nel Maelstrom ci si tira fuori con Intervals 3/Old Jazz, un pezzo da iper spazio, avanguardistico e logaritmico, movimentato su sequenze di microchip sonori e autostrade cibernetiche dove i musicisti imboccano la porta del tempo piombando tra le file di una marcia creola che procede a ritmo di shuffle.


Traditions N.2 rispecchia apparentemente la regolarità di una costruzione tematica affidata e introdotta dal leader e poi sviluppata dal gruppo. Ma D’Andrea non predilige la regolarità disseminando d’imprevisti e trappole sonore il susseguirsi del brano. Era solo un “falso” tradizionale che apriva la strada a Intervals 4, brano inquieto e terminale di Intervals I. È il contrabbasso di Mella che lo introduce, dialogando con il pianoforte, prima di dare sfogo ai fiati e alla trattazione “spazzolata” di De Rossi. È un crescendo continuo dove ogni singolo intervento è calibrato, minimale, necessario nella sua immediatezza espressiva. Una sorta di big bang di suoni che raggiunge il suo apice cosmogonico prima di zittirsi all’improvviso. Intervals I è un disco di valore assoluto, che travalica qualsiasi confine geografico per farsi opera mondo.




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