MRF5 – 2017
Paolo Fresu: tromba, flicorno
Bebo Ferra: chitarra acustica
Paolini Dalla Porta: contrabbasso
Stefano Bagnoli: batteria
C’è qualcosa di magico nei suoni di questa formazione del Devil Quartet di Paolo Fresu. Qualcosa che, probabilmente, la rende estremamente godibile in concerto; ma che anche su disco ed in particolare nell’incisione di questo Carpe Diem, cattura l’orecchio e l’animo di chi ascolta. Sarà l’estrema perizia e sensibilità di ognuno di questi musicisti, sarà l’alchimia che lega ognuno di loro agli altri, sarà la svolta acustica che lo stesso quartetto ha impresso alle sue sonorità (tre lavori prima di questo). O magari proprio il Carpe Diem del titolo: sapere cogliere il giorno o l’attimo fugace. Loro lo hanno davvero catturato, ed in sala di incisione hanno prodotto un lavoro che si può davvero definire un classico del jazz acustico, un classico del jazz italiano, cioè di un mondo che continua a presentarsi estremamente ricco, diversificato, multiforme, di cui andare orgogliosi. Nessuno è musicista di primo pelo, Fresu è sulla breccia da trent’anni e più, gli alti forse poco meno. Ciascuno di loro ha da dire (suonare) davvero tanto. Il quartetto funziona a meraviglia, i primi dieci minuti (su poco meno di un’ora di musica di alto livello) di Home, Carpe Diem e In Minore sono alta scuola: un concetto moderno ed allo stesso tempo vicino alla tradizione del jazz acustico, quello che portiamo nella mente dopo avere ascoltato un certo Miles Davis di un certo suo periodo: Fresu in grande spolvero, con o senza la sua sordina, capace di estrarre l’anima dalla tromba; Bebo Ferra lucido ed emozionante, forse il musicista che maggiormente riluce in questa veste puramente acustica; Paolino Dalla Porta profondo nell’incedere delle corde del suo contrabbasso mai prevedibile e sempre puntuale; Stefano Bagnoli, artista assai completo, delicato con le spazzole sui suoi tamburi. Un piacer all’ascolto, dai temi più ricchi di ritmo ma sempre diffusi di pacatezza, ai momenti più intrisi di blues e di grande tradizione come Lines, fino al gioco finale del tema di Un Posto Al Sole, del quale si potrebbe pensare il peggio possibile. Tutt’altro, nelle loro mani una eccellente chiusura per uno dei dischi di jazz più belli in Italia negli ultimi tempi. Ed uno dei più semplici, anche. Non è da tutti.
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