Aut Records – AUT037 – 2017
Vicent Domenech: sax alto
Alberto Cavenati: chitarra
Bob Meanza: sintetizzatori, electronics
Olga Nosova: batteria
Toxydoll è un agguerrito quartetto di stanza a Berlino formato da due musicisti italiani, Bob Meanza e Alberto Cavenati, una russa, Olga Nosova e uno spagnolo, Valentin Domenech. Dopo l’incisione di Bullsheep nel 2016 il gruppo pubblica questo disco continuando a percorrere la strada piena di curve e di insidie disegnata nel primo album.
La band si caratterizza per un sound elettrico aspro, abrasivo, che rimanda all’hard rock o al metal. Allo stesso tempo la presenza del sassofonista e il suo incedere solistico divagante e progressivo, avvicinano Toxydoll al mood di intellettuali dell’avanguardia come Threadgill o Lehman, passando per Tim Berne, ovviamente. Rispetto a quei pezzi da novanta, Bob Meanza e soci si distinguono, però, per un background più duro e aggressivo e per una minore finezza nelle soluzioni adottate. Siamo in presenza, cioè, di una musica con una scorza di cartavetro, in molti punti, anche se non mancano le aperture, i passaggi meno densi e inchiostrati.
Così, l’iniziale Acanounia oscilla fra momenti ribollenti a brevi parentesi sottolineate dall’arpeggio sospeso della chitarra per finire in un noise tiratissimo
Whole lotta dog (parafrasi di Whole lotta love dei Led Zeppelin) è ondivaga e contiene un’anima heavy e qualche flash Zorniano con quel sassofono che si arrampica spavaldo su un muro di suoni distorti e violenti.
18Triggered off è ossessiva e claustrofobica. Si crea, infatti, un clima di attesa irreale nella traccia, per mezzo di frasi iterate di chitarra e keybords. Ci pensa Domenech a rompere l’incanto con un intervento spigoloso e dirompente.
Obatalà è su un ritmo africano che aumenta via via fino ad assumere toni parossistici, come in un rito voodoo. In questo pezzo si ascolta la voce della Nosova, fra l’altro, per il resto impegnata a picchiare sempre più velocemente sulle sue percussioni.
Castellana comincia lenta, ma piano piano accelera, mantenendo, comunque, un’aria quieta, non certo rasserenante.
Mr. Trotzkopf si manifesta con un sottofondo rumoristico che annuncia la successiva tempesta acida, provocata dal timbro ispido della tastiera e dallo staccato nervoso e scostante del sax.
Viruta custodisce una nervatura di rock pesante e improvvisi cambi di marcia nel suo svolgimento, pencolando fra climi surriscaldati e oasi di calma apparente.
Chasm si muove su atmosfere free e prende una forma pur indefinita a poco a poco. Ogni strumentista procede per suo conto senza ascoltare, apparentemente, i partners, rinvenendo appigli, punti di contatto impensabili in corso d’opera.
Hawkward in conclusione è un cd per palati forti, che conferma l’incisività e il vigore di una band impegnata a conciliare in un cocktail ad alta gradazione energetica il blues, l’avanguardia jazzistica e il rock brutto, sporco e cattivo.
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