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Vittorio Sicbaldi. La sua batteria è carica e suona per tutti!
Vittorio Sicbaldi: Sono classe 63, sono nato a Cagliari e, come tutti i ragazzini della mia epoca, non avrei mai pensato di dedicarmi alla musica a tempo pieno… o quasi!
Jazz Convention: Tu mi dicevi che sei batterista autodidatta…
VS: Si, ho studiato principalmente da solo. Naturalmente, ho chiesto consigli agli amici che avevano avuto la fortuna di studiare al Conservatorio, delle lezioni volanti quando avevo qualche dubbio ma, in genere, ho lavorato sempre da solo nel mio percorso di apprendimento. Ascoltando, soprattutto, i dischi. Non ho avuto un maestro che mi ha seguito: una volta che mi sono trasferito qui a Milano, ho chiesto, di tanto in tanto, dei consigli ai batteristi che ci sono in città, musicisti come Marco volpe o Gianni Cazzola, il più grande batterista di jazz che abbiamo in Italia, i quali sono stati sempre molto prodighi nel darmi delle dritte sulle impostazioni, sul modo di affrontare un assolo…
JC: Come hai cominciato a suonare la batteria?
VS: Mio padre mi regalò una batteria quando avevo diciassette anni, ma la desideravo da tanto, volevo fare il batterista sin da quando ero ragazzino. Poi, quando facevo le prime serate al’oratorio e cose di questo genere, ho avuto la fortuna di conoscere un trombonista che suonava in un’orchestrina di jazz tradizionale. Si chiamava Paolo Ruiu, purtroppo è scomparso da qualche tempo. Lui aveva una pizzeria e, nello scantinato sotto il locale, provava con questo suo gruppo formato da musicisti dilettanti, all’epoca molti di loro avevano già tra i sessanta e i settanta anni. Sto parlando dell’inizio degli anni Ottanta. Avevano bisogno di un batterista, io ero un po’ dubbioso: per me, si trattava di suonare con delle persone molto più adulte di me… Ho capito, dopo poco tempo, che era invece una occasione ottima per poter imparare e per poter capire molte cose. È stata una grande fortuna: ho avuto l’occasione di fare un percorso che partisse dalle origini del jazz e arrivasse fino alle forme più moderne. Il problema di oggi è che le scuole partono dal jazz moderno e analizzano, poco o nulla, il jazz più tradizionale, quello che va dagli origini fino al bebop. Succede che i musicisti non hanno quella carica swing e non conoscono perfettamente tutte le sfumature del linguaggio. Secondo me, questo è un deficit, soprattutto di molti musicisti italiani.
JC: I tuoi primi concerti importanti quali sono stati?
VS: Avevo già iniziato a suonare a Cagliari con musicisti locali, nei vari club e nelle rassegne che si tengono nell’isola: il primo concerto importante, l’ho fatto con un musicista di Milano molto conosciuto nell’ambito del jazz tradizionale, il trombettista Franco Tolomei. Lo invitò a Cagliari proprio Paolo Ruiu.
JC: E, quindi, in quel periodo suonavi principalmente jazz tradizionale, New Orleans, dixieland…
VS: Si, esatto. E un po’ di swing. Poi, in quel periodo venne a Cagliari, alla fine degli anni Ottanta, Hector “Costita” Bisignani, un sassofonista argentino che aveva vissuto in Brasile e aveva partecipato alla “rivoluzione” della Bossa Nova, aveva suonato insieme a Jobim, Sergio Mendes, Elis Regina e tutti i grandi nomi del jazz samba. Venne a Cagliari con il gruppo di Hermeto Pascoal. Se non che gli successe un incidente, nei giorni in cui era da noi e fu ricoverato in ospedale: il gruppo continuò il tour e lui rimase in Sardegna. Scattò la solidarietà dei musicisti: ci tassammo e organizzammo dei concerti per aiutare Bisignani che aveva le gambe fratturate ed era in ospedale. quando è guarito, il sassofonista ha deciso di rimanere in Sardegna per cinque anni, ha fondato un gruppo e io ne ho fatto parte come batterista e abbiamo suonato in giro per tutta l’Italia. È stata l’occasione per avvicinarmi ad un tipo di jazz più aperto verso altri linguaggi. Fin quando, nel 2000, ho deciso di trasferirmi a Milano.
JC: E quando sei arrivato qui, con quali musicisti hai collaborato?
VS: Il primo è stato sicuramente il sassofonista Michele Bozza, sono legato a lui da una profonda amicizia, fatta di stima e rispetto. E poi sono entrato subito nel giro del jazz tradizionale milanese – musicisti come Vittorio Castelli, Luciano Invernizzi, Roberto Baciocchi e tutti gli altri musicisti con cui ho suonato… – e poi ho iniziato a suonare con musicisti più moderni. Ho avuto la fortuna di suonare con Gianni Basso e Dusko Gojkovic in un tour nel nord Italia e che ci ha portato a registrare un bellissimo disco Groovin’ at the Olympics, insieme a Franco Cerri e all’Italian Sax Ensemble diretto da Fulvio Albano. E poi tantissime serate spot con tanti altri musicisti, come Scott Hamilton, Guido Manusardi, Mario Rusca…
JC: Quali sono state le tue sensazioni quando hai suonato con questi mostri sacri del jazz italiano e come li hai trovati?
VS: Fondamentalmente, sempre emozionatissimo… perché quando penso che suonavo a Cagliari con gli amici e leggevo i nomi di questi musicisti sulle riviste
JC: Io ti ho sentito suonare in diversi contesti e devo dire che con la tua presenza davi un certo impulso a tutte le band con cui eri impegnato. Ti trovo molto versatile e non hai problemi a passare da uno stile all’altro…
VS: Forse sto invecchiando e, come si dice, «si nasce rivoluzionari e si muore pompieri». Nel mio caso, mi rendo conto di voler sempre più fare il musicista accompagnatore, di mettermi sempre più al servizio del solista e al servizio della musica. Il problema è che molti musicisti, molti batteristi soprattutto, hanno questa voglia di fare i protagonisti e, alle volte, è il difetto dei musicisti giovani. Da qualche tempo, invece, ho scoperto diversi musicisti statunitensi, quasi sconosciuti, che però suonavano divinamente. Larry Bunker, Dave Tough, Frank Isola. Suonavano in maniera estremamente raffinata, mai sopra le righe, sempre al servizio della musica. Amo questi batteristi accompagnatori, capaci di dare un sostegno prezioso, senza disturbare, si potrebbe dire… Un sassofonista mi ha detto, qualche tempo: «È bello suonare con te perché non disturbi.» Potrebbe sembrare offensivo ma ho capito che lui semplicemente intendeva di apprezzare il fatto di non doversi ritrovare a suonare “contro” il batterista.
JC: Quali sono i progetti che stai seguendo in questo periodo?
VS: È tornato in Italia, dopo lungo tempo, Hector “Costita” Bisignani, oggi ottantaquattrenne, e abbiamo fatto diversi concerti insieme al contrabbassista Tito Mangialajo Rantzer e alla cantante Francesca Ajmar e abbiamo registrato anche un disco che uscirà in autunno con Abeat Records: un lavoro che unisce jazz e sonorità brasiliane.
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