Okeh Records – 2018
Camille Bertault: voce
Michael Leonhart: tromba, tastiere, percussioni
Dan Tepfer: pianoforte
Christophe “Disco” Minck: basso, contrabbasso, arpa, moog
Joe Sanders: contrabbasso
Jeff Ballard: batteria
Stéphane Guillaume: sassofoni, clarinetto basso, flauto
Daniel Mille: fisarmonica
Mathias Mahler: trombone
Francois Salque: violoncello
Quest’estate ha fatto alcune date in Italia Camille Bertault, osannata in Francia come il nuovo fenomeno del canto jazz e premiata da recensioni lusinghiere pure dalle nostre parti. Il disco Pas de gèant segue a distanza di due anni il precedente En vie ed indubbiamente conferma le qualità di un’artista provvista di una tecnica ragguardevole e di una personalità davvero prorompente. Nel suo ultimo album Pas de Gèant si apprezzano anche le doti di compositrice, oltre che la sua abilità nel riprendere pezzi da un repertorio aperto ad ampio raggio, dalla musica classica ai cantautori, dagli standard jazz allo sperimentalismo pop rock. La versione di Goldberg di Bach , ad esempio, è fulminante per il virtuosismo profuso e la capacità di giocare con arie immortali senza infrangerne la sacralità. Non è meno sorprendente Arbre ravèologique, dove la Bertault scava fino alle radici nel mondo impressionista di Ravel, concludendo, poi, con un accenno al “Bolero”.
È semplicemente travolgente la riproposta di Conne di Brigitte Fontaine, stravagante musa dell’underground transalpino. In questa canzone la voce della parigina si impenna, si camuffa, si fa risata sardonica o sberleffo trasgressivo, salendo, ogni tanto, sui sovracuti con assoluta non chalance.
Non meno stuzzicante è l’interpretazione di un caposaldo di George Brassens Je me suis fait tout petit, resa con un’anima cantautorale e un vestito stirato nello swing.
Camille va a ripescare dal baule dei ricordi, poi, Comment te dire adieu, con testo di Serge Gainsbourg, portata al successo da Francoise Hardy, che svolge con un certo distacco e un effetto ritardante, strascinando letteralmente le parole.
House of Jade di Wayne Shorter, invece, è eseguita in portoghese e viene rimodellata su atmosfere latine, con la vocalist che, per una volta, tiene a freno la sua esuberanza; sta dentro le righe, insomma.
A Very Early di Bill Evans viene riservato un trattamento assolutamente rispettoso. La bandleader, in questo caso, si inchina alla grandezza di un evergreen, del suo autore e stupisce per il lavoro di sottrazione operato sul pezzo.
Uno dei momenti clou dell’album è certamente Là où tu vas, ovverosia Giant steps in salsa francese. In questo caso la vocalist riproduce il solo di Coltrane, il suo caracollare sassofonistico, con gli equilibrismi pirotecnici del suo strumento-voce, ottenendo un esito di grande effetto.
Non va rrascurata, ancora, neppure la rilettura de La femme coupèe en morceaux di Michel Legrand, restituita in una dimensione sonora stile anni sessanta, con la Bertault che si concede soltanto qualche piccola divagazione nei limiti del consentito.
Gli originals, infine, sono tutti di un certo valore e non servono semplicemente a porre in risalto la prodigiosa abilità della cantante. Fra gli altri si segnala Suite au prochain numerocaratterizzato da un andamento incalzante, arricchito da uno scat vertiginoso e dalla spinta poderosa della sezione fiati .
La band diretta da Michael Leonard, su suoi arrangiamenti, risponde in maniera efficacissima alle sollecitazioni della direction. In particolare si distinguono gli interventi pianistici di Dan Tepfer, puntuti e puntuali e il sostegno ritmico di Jeff Ballard, batterista americano hors categorie.
Pas de gèant, in sintesi, è un bel biglietto da visita per una cantante, orgogliosamente francofona, che si diverte molto con il jazz e fa altrettanto “amuser” chi la ascolta. È un po’ leggerina e troppo amabile la sua idea musicale? Forse, ma non se ne incontrano tanti in giro talenti di questa levatura!
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