Foto: Archivio Pino Saulo
Il jazz in radio: la ricetta di Pino Saulo
Intervista con Pino Saulo
Radio3 è un punto di riferimento sicuro per gli amanti della buona musica. All’interno di questa emittente si segnala la voce di Pino Saulo, nome conosciutissimo fra quanti seguono il jazz o musiche affini, in Rai da oltre venticinque anni come autore e produttore. Grazie alla passione e alla competenza di Pino e dei suoi validi collaboratori, vengono realizzati “Radio3 Suite Jazz”, appuntamento settimanale con i concerti registrati nei principali festival, italiani o stranieri, generalmente in prima serata e “Battiti”, programma notturno, “‘round midnight”, aperto a diversi generi musicali sfiziosi e intriganti. In certi casi, inoltre, vengono organizzate esibizioni dal vivo all’interno degli studi di Via Asiago o mandati in onda in diretta concerti di particolare importanza dai palcoscenici italiani.
Abbiamo posto a Pino Saulo una serie di domande, a cui ha risposto con le abituali disponibilità e cortesia, qualità che esercita normalmente anche nei confronti degli addetti ai lavori del mondo del jazz. Questo atteggiamento positivo e la sua preparazione gli hanno guadagnato la stima e l’apprezzamento di quanti operano in questo settore, senza distinzione di stili o di scuole di pensiero,
Jazz Convention: Pino, sei consapevole di essere un portabandiera del jazz e di musiche confinanti, visto che sei rimasto l’unico ad occupartene in Rai ormai da diversi anni?
Pino Saulo: Ti ringrazio di quanto dici però in realtà per fortuna non sono solo; solo per citare Radio3, il jazz e altre musiche di derivazione jazzistica spuntano a più riprese un po’ da tutto il palinsesto; altre radio non pubbliche continuano ad avere bei programmi di jazz e finanche in televisione ogni tanto qualcosa fa capolino… Certo, a Radio3 riusciamo a dare maggiore continuità e questo è un bel vantaggio e, effettivamente, costituisce una nostra specificità e unicità.
JC: Come dividi i concerti da mandare in onda su Radio3 Suite da quelli da trasmettere in Battiti?
PS: Diciamo che a Battiti intratteniamo rapporti anche con festival che si dedicano ad altre musiche, non necessariamente jazz. Penso a festival come Isole che parlano o Chamoisic ad esempio. Quindi diciamo che a Battiti facciamo sia jazz che musiche meno definibili, dall’elettronica all’etnica e non solo. Ad esempio di recente abbiamo trasmesso i concerti di Neneh Cherry, Asian Dub Foundation, Beverly Glenn-Copeland…
JC: Quanti concerti jazz ha trasmesso Radio3 nel 2018 e a quali sei più affezionato?
PS: Se non ho sbagliato a contare, solo per Radiotre Suite Jazz ho trasmesso 69 concerti nel corso del 2018; a questi vanno aggiunti uno a settimana (la notte tra la domenica e il lunedì) a Battiti per 9 mesi; e inoltre devi pensare che anche nel resto della programmazione della Rete, come ti dicevo prima, fanno capolino concerti jazz sia ne La Stanza della Musica – in onda il venerdì sera – che nelle varie feste di Radiotre in giro per l’Italia (per citare solo Materadio – la festa di Radio3 a Matera – nel corso degli anni si sono succeduti musicisti come Franco D’Andrea, Gianluca Petrella, Stefano Bollani, Mauro Ottolini, il duo Sandro Satta-Antonello Salis…)
JC: Quali sono i rapporti con il circuito Euroradio?
PS: Ottimi, direi. Nel corso degli anni abbiamo aumentato il numero di concerti che trasmettiamo che provengono da questo circuito a cui aderiscono le radio pubbliche europee; e, da parte nostra, ogni volta che ci è stato possibile – per questioni di diritti – abbiamo inviato al circuito nostri concerti che qualunque stazione europea era libera di trasmettere.
JC: Quali sono i musicisti che sono stati in un certo senso lanciati da te e dalle tue trasmissioni? Faccio due nomi su tutti, almeno secondo me: Rob Mazurek e William Parker. Pensi di aver influenzato i gusti del pubblico radiofonico italiano?
PS: La radio è (anche) una grande cassa di amplificazione. Se la sostanza c’è non ci vuole molto a far conoscere un po’ meglio alcuni musicisti. Se ho contribuito a rendere più noti musicisti come quelli che hai citati, ne sono lieto. Credo che il nostro compito (penso soprattutto a quanto facciamo a Battiti) sia di mettere a disposizione del pubblico più vasto le conoscenze che abbiamo acquisito grazie alla posizione privilegiata del nostro osservatorio. Cercando di non perdere mai di vista l’idea che i nostri gusti non necessariamente siano migliori o indiscutibili e quindi favorendo un’offerta piuttosto vasta ma non necessariamente ecumenica; riuscendo ad essere sia degli indicatori di tendenze che dei certificatori dell’esistente. Insomma, per usare una metafora che adesso va per la maggiore, essere un po’ cuochi e un po’ chef…
JC: Quali sono i rapporti con i musicisti italiani? E con i festival del nostro paese?
PS: Mi sembra molto buoni con entrambi. Cerco sempre di allargare le collaborazioni ad altri festival e direi che, tra i dischi e i concerti dal vivo, trasmettiamo moltissimi jazzisti italiani…
JC: Chi vorresti mandare in onda nel 2019? Hai un sogno nel cassetto?
PS: Nel corso di questi 25 anni sono riuscito a trasmettere un po’ tutti i grandi nomi (da Cecil Taylor a Sonny Rollins, da Wayne Shorter a Herbie Hancock o all’Art Ensemble Of Chicago) con due grosse eccezioni: Keith Jarrett e Ornette Coleman. Del primo è ben nota l’idiosincrasia a questa ipotesi mentre, per Coleman, c’è stato un momento che sembrava quasi possibile e poi invece è sfumato. Però abbiamo avuto la possibilità di passare una buona oretta con lui e ne è uscita una sorta di intervista che è ancora possibile ascoltare sul sito di Battiti. Poi, posso dirti che nella programmazione di quest’anno entreranno tante, tante belle cose: da nomi nuovi come Sons of Kemet, Makaya McCraven, Kamasi Washington, Irreversible Entanglements, Jaimie Branch, Ambrose Akinmusire a “veterani” come Daniel Humair, David Murray, Dave Holland, Tony Allen, Mike Westbrook. E inoltre tanti musicisti italiani, noti e meno noti.
JC: Una rassegna come “Le Labbra Nude”, svoltasi a Roma nel 2006 e trasmessa integralmente da Radio3 è ripetibile? In quel caso erano presenti artisti come Nicole Mitchell, Mike Ladd, Ernest Dawkins, Meshell Ndeogecello… Chi inviteresti oggi?
PS: Mah, credo di sì… dipende se c’è chi è disposto a investire e rischiare. Se dovessi rifarla oggi non mi limiterei al jazz; credo che sia sempre più necessario, utile, giusto, bello, aprirsi ad altri universi sonori; eliminare barriere e limiti e definizioni di genere. L’identità si crea sull’urgenza espressiva non sull’adesione più o meno canonica ad un genere.
JC: Dimmi qualcosa di Battiti. Secondo me ha un pubblico di affezionati nottambuli, uno zoccolo duro che si è legato a questa musica inclassificabile. Sei d’accordo? Spiegami come organizzate la scaletta.
PS: Dal lunedì al venerdì si inizia sempre con una prima parte condotta da due di noi nella quale presentiamo, a rotazione, una decina di novità discografiche a nostro avviso più interessanti, senza distinzioni di genere, anzi avendo cura di effettuare una selezione abbastanza ampia. Poi abbiamo spesso delle interviste o degli annunci di festival, rassegne, concerti, iniziative. E poi ancora uno o due spezzoni di durata variabile con scalette sempre legate alle novità discografiche ma che seguono criteri diversi: da un certo stile a una certa idea di suono o a un luogo geografico. La domenica è dedicata alla musica dal vivo, sia che si tratti di concerti che di sedute dal vivo (sempre molto rare) registrate nei nostri studi mentre il sabato è la parte più libera nella quale ognuno di noi propone una sua ricetta particolare. Se vogliamo tornare alla metafora usata in precedenza, è la parte più da chef. A unire le varie parti, un suono che è anche un luogo indefinito, una sorta di fil rouge quasi invisibile, sotterraneo ma non inudibile. Il complimento più bello che riceviamo è quando anche gli ascoltatori più affezionati mostrano di non rendersi conto di come e quanto strutturiamo il programma. L’architettura più bella è sempre quella che non mostra e non si compiace delle tecniche di costruzione. Vorrei anche aggiungere che, nel corso degli anni, abbiamo raggiunto un ottimo affiatamento e il nostro è veramente un lavoro di squadra. E quindi quotidianamente il lavoro viene ripartito tra noi tutti: Antonia Tessitore, Ghighi Di Paola, Giovanna Scandale e Simone Sottili che si è unito alla squadra già da qualche tempo.
JC: Ci riserverà qualche sorpresa durante l’anno questo appuntamento di mezzanotte?
PS: Speriamo… diciamo che cerchiamo sempre di sorprendere e sorprenderci. La gioia maggiore nelle nostre giornate di lavoro è quando scopriamo con emozione un musicista nuovo (o inatteso) che ci procura quel certo brivido di piacere.
JC: Matera capitale della cultura. Come la celebreranno i tuoi programmi?
PS: Radio3 tornerà a Matera anche quest’anno per la consueta Materadio. È un appuntamento ormai fisso in cui i vari programmi sono realizzati dal vivo davanti a un pubblico che ogni anno diventa più folto e curioso, creando un circuito e un corto circuito di interessi, passioni e sodalità. Considera inoltre che il rapporto tra Matera e la radio è di vecchia data: già negli anni Ottanta, Pinotto Fava aveva scelto Matera come città dove far risuonare la radio (memorabile l’edizione di Audiobox del 1990).
JC: Come è cambiata la fruizione del jazz in radio dopo la possibilità di riascoltare in streaming diverse puntate dei programmi Rai?
PS: Tu ricordi sicuramente la famosa affermazione di Eric Dolphy: «When you hear music, after it’s over, it’s gone in the air. You can never capture it again.» Diciamo che per la radio valeva la stessa cosa. Il riascolto cambia radicalmente l’hic et nunc dell’esperienza uditiva; da un lato mina il carattere di condivisione dell’esperienza (più persone che ascoltano la stessa cosa nello stesso momento) e quindi favorisce una fruizione spezzata, segmentata e tendenzialmente privata, dall’altra indubbiamente ci consente di arrivare ad un pubblico enormemente più vasto e, grazie alla rete, tendenzialmente infinito.
JC: Ci sono speranze perché ritorni a pubblicare Rai Trade? Erano usciti dischi interessantissimi anni fa per questa etichetta nella serie “Tracce” se non erro. Penso agli album dell’ensemble di William Parker a Dave Burrell con Leena Conquest o al gruppo con Sabir Mateen e Daniel Carter, fra gli altri.
PS: Non credo… è stata un’esperienza molto interessante in cui la radio funzionava, oltre che come cassa di risonanza, anche come luogo di produzione musicale: molti di quei dischi in effetti erano concerti che avevamo realizzato proprio nei nostri studi.
Non ci resta che ringraziare Pino Saulo per tutto quanto fa per promuovere la musica «senza barriere o definizioni troppo vincolanti di genere», come lui sostiene, nel palinsesto della radio italiana.
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