NoBusiness Records – NBCD 109 – 2018
Marion Brown: sax alto
Dave Burrell: pianoforte
Occasione dai crediti importanti per tornare a cimentarsi con la Storia, laddove non è minimizzabile il portato culturale a favore dell’identità afro-americana, nella testimonianza e nell’incarnazione di due esponenti d’indubbia caratura: la Conferenza dei Musicisti Neri, tenutasi nell’aprile 1981 presso l’Università Amherst nel Massachusetts occidentale, riunì per una settimana relatori e contributori per conferenze e spazi musicali, in ciò fissando anche l’incontro in oggetto, centrato su una dualità peraltro non estemporanea né fugace, registrandosi un comune percorso concertistico e discografico articolato fra la fine degli anni ’60 e la prima metà degli ’80, in cui si colloca appunto la presente esibizione.
Se è tuttora vitale (e coerente) la personalità del pianista Dave Burrell, ricercatore e curatore storico che seguita nella propria produzione sulle radici dell’identità afro-americana, riuscirà parzialmente latitante dalla memoria recente la controparte, il sassofonista Marion Brown di cui non sarà sfuggita almeno un’iconica creazione all’alba del catalogo ECM quale l’abitato Afternoon of a Georgia Faun (che tra i suoi “sidemen”, e certo nella riduttività del termine, annoverava Anthony Braxton, Chick Corea ed Andrew Cyrille), oltre alla partecipazione al capitale Ascension di John Coltrane.
E con tali ed importanti crediti s’approccia il programma del concerto (in cui, un po’ curiosamente, Burrell funse da sostituto del rinunciante pianista Hilton Ruiz): concentrata (ed ispirata) l’apertura solistica dell’ancia di Brown, che cede la scena al solenne piano di Burrell nel conformare con carattere di inno l’introduttiva Gossip, che transita nella movimentazione figurativa della duale Fortunado, già nel repertorio discografico del duo. Solarizzazione latina non soltanto nel titolo in La Placita, pervasa dalla personalità del pianista, che nelle progressioni ariose e ritmate enuncia il proprio debito nei rispetti dell’influente autore post-rag Jelly Roll Morton (oggetto di un suo album monografico del 2016); a seguire, un approccio in semplicità al raccolto tema di My Little Brown Book (a firma di Billy Strayhorn), che prelude al più complesso clima espresso in Punaluu Peter, segnata da un importante quanto torrenziale solo di Brown. Quindi, la burrelliana Pua Mae ‘Ole vira piuttosto nei segni di un caldo intimismo e, ancora, Crucifacado disvela ed argomenta ulteriormente la sottile arte del pianista, caratterizzata da elaborazioni sofisticate, pur nell’apparenza del grafismo grezzo,della tessitura melodica, ed il duo perviene all’epilogo animando un ulteriore tributo alla penna di Strayhorn lungo la sensibilità espressa nel crepuscolare calore delle note di Lush Life.
Rilevando, en passant, come in tale paritaria partnership siano state ravvisate analogie con l’incontro tra John Coltrane e Duke Ellington (Impulse!, 1963), con cui condivide in scaletta due composizioni di Strayhorn, la stessa offre materiale di valutazione circa la complementare fisionomia dei due solisti: lacerante e maggiormente toccata dall’urgenza espressiva l’ancia di Brown, pure non chiusa a melodiche fluenze, articolato con ponderazione e più orientato verso le quadrature della forma classica il pianismo di Burrell, per una interazione sapiente e riflessiva ma pur segnata da acuità polemiche, entro un programma d’alterno carattere che può permettersi ricorrenti dismissioni della verve belligerante a favore di una musicalità di più ampio, appagante respiro.
Dell’etichetta lituana (di cui segnaliamo la recente apertura della funzionale pagina Bandcamp) torniamo ad elogiare il prezioso lavoro, articolato tra proposte del free euro-americano d’ultima generazione nonché del recupero d’importanti eventi live del passato recente, qui serviti da una preziosa edizione, accompagnata da intense ed interessanti note di copertina: se, non soltanto per le scelte repertoriali e la collocazione temporale, i materiali potranno suonare relativamente (ma non spiacevolmente) datati, al di là delle connessioni ed implicazioni stilistiche di quel transitivo periodo ciò non sminuisce gli impegni profusi in tale session, e l’esperienza rimane importante anche al di là del valore documentale, fissandosi come momento conoscitivo ulteriore dell’attiva personalità del pianista, che ha perseguito a tutt’oggi un responsabile ruolo di cultore storico, ma soprattutto nel tributare un ulteriore saluto alla non adeguatamente onorata memoria del grande ed originale sassofonista, che amava definirsi «l’uomo che procede all’indietro verso il futuro».
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