Hubro Music – Hubro CD 2580 – 2019
Øyvind Torvund: composizioni
Kjetil Møster: sassofoni, elettroniche
Jørgen Træen: synth modulare, rumoristica
BIT20 Ensemble
Trond Madsen: direzione
Sigrid Holmstrand: flauto
Håkon Nilsen: clarinetto
James Lassen: fagotto
Danilo Kadovic: corno
Rune-Alexander Trygg: tromba
Christopher Dudley: trombone
Manuel Hofstätter: timpani, percussioni
Peter Kates: vibrafono, percussioni
Jarle Rotevatn: piano
Johannes Wik: arpa
Jutta Morgenstern: violino
Martin Shultz: violino
Liene Klava: viola
Agnese Rugevica: violoncello
Grieg Koeller: contrabbasso
Knut Andreas Knutsen: fischi
Più che l’esotismo del titolo, osserviamo quanto predomini la dimensione del mélange nei materiali d’alterno andamento di cui si fa collettore il fresco album per la regia ideativa del compositore norvegese, ma s’imporrebbe un’avvertenza: Lasciate ogni speranza, o Voi ch’entrate nel virulento mondo di Øyvind Torvund & C, di reperire un bandolo concettuale che non sia piuttosto la libera dimensione onirica ed un senso creativo quanto meno disinvolto.
«In realtà – ci ha introdotto di persona il compositore – era mio desiderio creare qualcosa del vecchio genere “exotica” combinandolo con il primo modernismo elettronico, avvertendo fortemente una connessione fra questi due mondi; affidando ai synth la rappresentazione di onde, pioggia, uccelli o altri elementi naturali, e quanto ai vari brani ho tratto ispirazione da compositori quali Martin Denny o Les Baxter ma anche materiali a collage di John Zorn o Otomo Yoshihide e così via…»
Così s’avvicendano suadenti passaggi da tradizionale colonna sonora, eco e brandelli dalla Golden Age del Jazz, guizzi e bagliori da dancing-hall, folate elettroniche generanti temi da cartoon, spettrali ed itineranti orchestrine estremo-orientali, chiose da happy end in stile vecchia Hollywood – e così tanti e tali connotati d’ascolto sono peraltro corrispettivi abbastanza letterali con le premesse del lavoro, commissionato a Torvund dal BIT20, giovane ensemble orchestrale dall’arsenale piuttosto tradizionale ma motivato e versatile a sufficienza per conformare l’ampia gamma di passaggi umorali e formali, in ciò completandosi con due autoctoni assi delle elettroniche.
Alquanto dominante in effetti l’idea del collage, sviluppato dinamicamente mercé un libero avvicendamento stilistico e di materiali, in un guazzabuglio di trovate mai in collisione, quanto piuttosto in brillante (e spesso spiazzante) alternanza; l’agguerrita big band tende un sornione quanto incurante tranello sul piano dell’identificazione di genere, esponendone peraltro parecchi, e la transizione tra questi si palesa fluida, in barba alla più o meno verosimile compatibilità.
Rimane pur vero che ogni descrizione si rivelerebbe insufficiente a rendere i caratteri del mobile patchwork semantico, e l’occasione autorizza a formulare un invito all’ascolto estensibile a tutti, dato il grado di speciale quanto elusiva fruibilità del ben insolito affresco musicale (oltre all'”esotismo” dei richiami d’epoca, del tutto conseguito).
Scaltra quanto sottilmente beffarda, la progressione tematica ed l’ondivaga esposizione concettuale convogliano in forma (con)vincente i salti di genere ed i mai spiacevoli sfasamenti umorali, segnati da sottile ironia ed estrosità eleganti.
Segui Jazz Convention su Twitter: @jazzconvention