L’edizione numero 39 di Open Papyrus Jazz Festival. Parte prima

Foto: Davide Bruschetta










L’edizione numero 39 di Open Papyrus Jazz Festival. Parte prima

Ivrea e Canavese – 27/30.3.2019

La trentanovesima edizione dell’open di Ivrea assicura, come d’abitudine, una serie di appuntamenti di livello elevato e riesce a movimentare la vita della città del Canavese nelle ultime giornate del mese di marzo. Dopo un inizio, il 27 marzo, con “Ticonto… special”, convivio letterario musicale in compagnia di Loris Deval e di Bruno Martinetti, la rassegna entra nel vivo con le due ultime serate.


Il venerdì pomeriggio alla sala S.Marta, Franco Bergoglio presenta il suo libro sul sessantotto, “I giorni della musica e delle rose”. Ancora una volta il saggista piemontese sceglie un angolo di visuale particolare e divergente per mettere in luce aspetti e situazioni già analizzati da altri autori secondo differenti tipi di prospettiva. D’altra parte, Bergoglio ci ha abituato ad affrontare gli argomenti che tratta attraverso uno studio profondo, a sostegno di tesi brillanti e, a volte, controcorrente. Nello specifico del suo intervento viene illustrato il ruolo cruciale di Bob Dylan come anticipatore delle tematiche del sessantotto con le sue canzoni di protesta dei primi anni sessanta. Si punta il dito, poi, sulla semplificazione cinematografica del raduno giovanile di Woodstock. In meno di due ore di pellicola, infatti, si è voluto condensare quanto successo in tre giorni, fornendo un’immagine incompleta e, per certi versi, fasulla della stessa mitica manifestazione. Insomma “I giorni della musica e delle rose” si annuncia come una pubblicazione che può far riflettere e discutere su un periodo nodale del secolo scorso.


Subito dopo la degustazione di sapidi prodotti della zona e un breve intervallo, entra in scena il quartetto sud-tirolese “E-volution”, che ha da poco pubblicato il cd “Albatross”. In apertura Norbert Dalsass con il contrabbasso tratteggia un tema evocativo di sicuro impatto. Piano piano gli altri strumenti prendono possesso della scena e, come l’uccello marino quando si alza dal suolo, la musica prende quota arrivando a rappresentare diversi climi e situazioni. Nei sette movimenti della suite si transita da momenti di pace e consonanza a sequenze tirate, con contrasti timbrici incrementati dal suono alterato della chitarra elettrica e dalle note acute o sovracute della tromba. La scansione ritmica procede in equilibrio volutamente precario nei tempi medio-lenti. In questo caso l’accompagnamento è libero, zigzagante. In altri punti la batteria rimarca il carattere rockeggiante della sequenza con interventi carichi di spinta e di energia, però sempre dentro alle righe.


Sul finale ritorna il delicato motivo iniziale. L’albatross conclude, cioè, il suo viaggio e plana a terra dopo un lungo tragitto, descritto in modo eloquentemente espressivo da Dalsass e soci.


Alla sera Maurizio Brunod corona un suo sogno, esibirsi in duo con Elliott Sharp, personaggio di primo piano in molti generi musicali, non incasellabile in nessuna categoria definita. E’ il debutto ufficiale della formazione, dopo che i due si sono conosciuti a New York nel 2018. Il repertorio è diviso a metà fra brani del musicista americano e pezzi del collega valdostano a cui si aggiunge una cover dei Beatles. La coppia opera molto sugli aspetti timbrici, utilizzando tutta una serie di manipolazioni del suono della chitarra elettrica. Il tutto è funzionale ad illustrare l’andamento armonico e melodico delle arie scelte, non certo al fine di creare l’effetto per l’effetto. Così si individua un fil rouge che apparenta le composizioni di Brunod con quelle di Sharp, unite da un sentimento comune, da analoghi intendimenti. La musica, in generale, procede compatta su tempi moderati in un linguaggio e in atmosfere vicini al rock. Nessuno dei due specialisti della sei corde fa sfoggio di virtuosismo. E’ ammirevole, invece, l’abilità di entrambi nel dialogare e nell’ascoltarsi. Ne viene fuori un set prezioso nella sua omogeneità, condotto con grande cura per i dettagli dai protagonisti della prima parte della serata.


Si concretizza, successivamente, il ritorno di Odwalla sul palco del Giacosa a due anni di distanza dall’esibizione documentata nel disco “Ancestral ritual”. Nell’ensemble, rispetto all’ultima incisione, ci sono due new entry fra i percussionisti africani, Daouda Diabatè e Cheikh Fall a kora e djembè. Le coreografie, inoltre, sono appannaggio di tre ballerine italiane, le bravissime Giulia Ceolin, Gloria Santella e Barbara Menietti che non fanno rimpiangere i danzatori del continente nero. Il concerto si svolge secondo un canovaccio consolidato, su motivi già ascoltati in altre occasioni, pure se non difettano, come sempre, gli elementi di novità. In particolare è ben valorizzato il confronto fra la voce forte e profonda, carica di blues ante-litteram di Baba Sissoko e quella informata di toni euro-colti di Gaia Mattiuzzi. Quando Massimo Barbiero lascia le briglie sciolte al gruppo si dispiega una squassante sarabanda percussiva, alternata a squarci lirici sottolineati, oltre che da marimba e vibrafono dagli specialisti di kora alla prima esperienza nella band. Nelle parti su tempi dispari, in stile progressive, il decimino marcia spedito con il consueto piglio trascinando letteralmente gli spettatori in platea. Una volta di più Massimo Barbiero, il leader di Odwalla, è profeta in patria…



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