Alessandro Balossino. Keith Jarrett, Improvvisazioni dall’anima

Foto: La copertina del libro










Alessandro Balossino. Keith Jarrett, Improvvisazioni dall’anima.

Chinasky, 2019

Già il titolo spiega le intenzioni dell’autore. Questo breve libro su Keith Jarrett di Colonia, dimostra subito da che parte sta Alessandro Balossino. Dalla parte di Jarrett. Perché, a quanto pare, il pianista del Koln Konzert sembra destinato a suscitare nell’ascoltaore amori sconfinati, asprezze critiche o dubbi continui (Come nel caso del sottoscritto). Per chiarezza, va detto che non siamo davanti a un saggio critico. Il libro è, me lo ha detto Alessandro, durante la nostra conversazione, «ßun atto di amore e la sua musica (scritta più con il cuore e la pancia che non con il cervello) e non un’attenta, fredda analisi critica.»


D’altronde, l’autore non è né uno studioso né un giornalista musicale. È un appassionato che, dopo aver diretto importanti negozi di dischi, si dedica ora, per passione, all’insegnamento del jazz in una scuola di musica a Genova. Una volta chiaritone scopi e carattere, si possono facilmente enucleare pregi e limiti. I primi stanno nell’accuratezza dell’apparato bio-discografico, nella piacevolezza della narrazione (che pure risulta talora discontinua), nell’uso azzeccato e sempre chiaro della terminologia musicale. I secondi sono insiti nella natura stessa del libro, ovvero nell’assenza di un discorso critico approfondito. Complessivamente, si può definire un buon lavoro didascalico, rivolto a un pubblico che voglia cominciare a conoscere il discusso pianista di Allentown. Date le premesse mi sembrava ovvio scambiare qualche parola con l’autore.



Jazz Convention: Il tuo è un omaggio appassionato alla figura e, se mi permetti, anche al mito di Keith Jarrett. Eppure è un pianista e un compositore molto controverso. Non è esagerato dire che molta critica e buona parte del pubblico non lo ama particolarmente. Da cosa credi che venga tanto furore critico nei suoi confronti di Jarrett? Pensi che ci sia una parte di prevenzione? E da cosa viene secondo te? Da un eccesso di tradizionalismo (i seguaci del bop a oltranza) o da un pregiudizio opposto (quello dei seguaci del free)?


Alessandro Balossino: Verissimo quanto tu sostieni… In effetti, raramente un fenomeno musicale ha fatto discutere e dibattere critici e schiere di fans in contrapposizione più lui. Persino un eminente redattore di Musica Jazz quale Gian Carlo Roncaglia, nella sua Storia del Jazz (quattro volumi per la Marsilio Editori) a proposito di Jarrett, lo definisce nel 1981 una promessa mancata nonostante il pianista avesse già pubblicato Facing You ed il Koln Concert. Che dire allora? Per quanto riguarda il pubblico, credo che influiscano molto gli atteggiamenti quasi maniacali nei confronti degli organizzatori e del pubblico indisciplinato che ha Jarrett sul palco, spesso da prima donna davvero imbarazzanti, cosa che però non avviene quando poi suona in gruppo. Pensa al Trio Standard, la loro forza è proprio nel costruire un perfetto mosaico nel quale nessuno primeggia e dove si fidano talmente l’uno dell’altro da lasciarsi trascinare a vicenda in un gioco a nascondino, scomponendo il brano in via di esecuzione in maniera certosina ed essenziale. Per quanto riguarda la critica, credo che molti di loro non accettino il “personaggio” Jarrett, mentre farebbero bene a considerarlo solamente un musicista. Secondo me non vi è né eccesso di tradizionalismo, né eccesso opposto, perché Jarrett nella sua oceanica produzione tocca tutti i generi, ti basti ascoltarlo negli album da solo – come, ad esempio, Radiance o Always Let me Go – o in quelli in trio dove parte dal Blues per finire nell’atonalità del Free, passando attraverso numerosi stili. Per non parlare di un capolavoro come Facing You nel quale si delineano tracce di blues, gospel, boogie-woogie, african-piano e melodie romantiche.



JC: Alcuni hanno tuttavia un atteggiamento più critico e distaccato. Io credo di essere fra questi. Trovo splendidi alcuni dischi di Jarrett (Koln Konzert in primis), ma penso anche che molte delle sue incisioni non siano del tutto necessarie. In altre parole, secondo me, Jarrett si è ripetuto troppo. È un punto di vista soggettivo, ovviamente, ma condiviso. Sicuramente non sarai d’accordo.


AB: Ed invece sono d’accordissimo con te. Il problema sono le case discografiche (ed in particolare la ECM). Considera che siamo ormai arrivati a quasi cento album pubblicati, comprese vecchie incisioni ripescate decenni dopo e che probabilmente erano state scartate in origine. Tra gli anni ’70 ed ’80, Jarrett incise a ripetizione (più di venti album) per Atlantic, Impulse ed ECM contemporaneamente, sicuramente qualcosa non era necessario ma l’industria discografica spingeva. Manfred Eicher, il patron della ECM, ha recentemente confessato di avere ancora un centinaio di nastri inediti di Jarrett! In effetti, dopo il suo rientro dalla malattia, il suo album Yesterdays (da un concerto del 2001) è stato giudicato ben poco positivamente da una parte della critica che lo ha accusato di vivere ormai di rendita, riproponendo sempre le solite cose. Secondo me, Jarrett è voluto tornare al cuore della melodia. Devo però ammettere che in questi ultimi anni sono usciti gli album Hamburg ’72 (inciso nel ’72) e After the Fall (inciso nel ’98) che credo essere solo operazioni commerciali, praticamente l’ascolto di alternative takes.



JC: Mi sarei aspettato, dato il tuo rapporto con Jarrett, un maggiore entusiasmo per il quartetto Europeo, che a mio avviso è il vero manifesto dell’estetica del nostro (io lo adoro, e forse anche perché l’esperienza, a parte i dischi usciti recentemente, si è conclusa senza trascinarsi per anni).


AB: È vero. In effetti, considerando l’importanza del quartetto europeo abbiamo dedicato loro la copertina, ma io non sono mai stato affascinato da quel gruppo. All’epoca dei Quartetti degli anni’ 70, vi era quello Americano nel quale prevaleva la ricerca di nuovi territori musicali, un amalgama di free-jazz, sonorità etniche, suggestioni orientali ed improvvisazione collettiva. Nel quartetto Europeo, molte di queste peculiarità dell’avanguardia americana vennero sostituite dalla tradizione musicale classica. Vi era una maggiore vena lirica ma io ricordo il quartetto esibirsi sul palco leggendo lo spartito e questo non fa parte del mio DNA, ovviamente è solo il mio punto di vista (cuore e pancia).



JC: Qual è la traccia più profonda, secondo te, che Jarrett sta lasciando sulla musica dei nostri tempi? Vedi all’orizzonte una figura così carismatica (o “divisiva”)?


AB: Secondo me le tracce sono due. Innanzitutto, la capacità di improvvisare nei suoi concerti solo senza avere in mente un tema od uno schema, come hanno invece coloro che eseguono brani standard predefiniti impiegati come tema per le loro improvvisazioni. La seconda traccia riguarda Jarrett in gruppo (trio o duo) quando esegue gli standards. Come accennavo prima, notiamo il segno di voler tornare al cuore della melodia volendo sviscerare tutte le possibilità che essa offre. In effetti, i gruppi che eseguono questi brani in genere fanno un accenno all’inizio della melodia per poi perdersi nelle improvvisazioni e quindi ritrovarsi tutti assieme nel finale a ribadire il tema principale che forse era stato snobbato durante la performance perché troppo orecchiabile. Jarrett ha dichiarato: «Quel materiale era dannatamente buono, perché mai tutti lo ignoravano e facevano roba da intellettuali che suonava sempre uguale. No! La melodia era importante per fare capire al pubblico cosa si stava suonando». Ti faccio un esempio, se ascolti la celebre Stella by Starlight dal concerto live del 1985 a Tokyo (album Standards vol.1) o il più recente For All We Know (dall’album Jasmine con Charlie Haden) questi brani sono un capolavoro di spiazzamento grazie alle continue variazioni di Jarrett che continuano a portarci frammenti di melodia anche durante le improvvisazioni portandoci di volta in volta verso l’esposizione del tema principale senza però mai arrivarci.Infatti il pianista riprende accenni del tema principale per poche battute per poi imboccare percorsi diversi che portano alla risoluzione finale. Questa è l’essenza della modernità nell’esecuzione degli standards. Figure così carismatiche per il futuro non ne vedo purtroppo, perché geni musicali che riescono a portare qui nel mondo fisico, echi di musica celeste in grado di procurarci gioia e tristezza ne nascono davvero pochi ogni secolo.



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