Nils Petter Molvær Quartet Buoyancy @ Crossroads 2019

Foto: Pietro Bandini- Phocus Agency (per gentile concessione dell’autore)










Nils Petter Molvær Quartet Buoyancy @ Crossroads 2019

Parma, Cortile d’Onore della Casa della Musica – 5.6.2019

Nils Petter Molvær: tromba

Johan Lindström: chitarra

Jo Berger Myhre: basso elettrico

Erland Dahlen: batteria

«La prima volta che ho visto Nils Petter Molvaer suonare dal vivo, ho pensato che il mondo si stava avvicinando alla fine… la musica era così urgente, pulsante, inquietante. A suggerire quest’immagine era il soffio di un angelo – ma non si trattava di quegli angeli dolci dei quadri romantici. Era un Arcangelo potente che brandiva una spada ardente, era il suono della tromba». Aveva scritto così, qualche anno fa, una giornalista della BBC. Anche il vostro cronista aveva sentito il gruppo – in una formazione diversa che prevedevea Stian Westerhus alle chitarre – e aveva provato sensazioni simili. Aveva visto navi in tempesta sui mari del Nord e aveva sentito minacciosi corni da nebbia echeggiare in qualche infinita notte artica. Era una sera nevosa, di tanti anni fa, con Parma tanto sepolta da un manto bianco, tanto che i musicisti, arrivando a teatro, avevano detto di sentirsi a casa loro.


A distanza di tempo, complice forse, una bella e fresca serata di giugno, la musica del trombettista norvegese è suonata meno drammatica e travolgente di allora. Viene da pensare che l’apparecchiatura elettronica usata da Joan Lindstrom, e il suo stile, ovviamente, diano un tono leggermente meno epico alla proposta, meno scuro, con effetti esotici, spesso “hawaiani” (con molte più virgolette, ovviamente) che stemperano le correnti fredde della scrittura di Molvaer.


Nella sostanza, però, la proposta è variata poco e gli spettatori esigenti, i puri e duri (che, per fortuna, si aggirano sempre nei concerti stimolando lo spirito critico di tutti) lo hanno fatto, giustamente, rilevare. Hanno fatto bene, perché la musica del quartetto è, va detto un po’ lisergica e coinvolge tanto da attenuare le capacità analitiche dell’ascoltatore. Belle melodie straziate, con un suono della tromba che evoca Miles senza mai imitarlo, con la danza dei suoni elettronici, con le ondate massicce che si abbattono, di tanto in tanto sulla platea, facendo tremare il pavimento e i corpi degli ascoltatori, come a un concerto dei Pink Floyd. Il gruppo sa dosare con eleganza e senso poetico queste alternanze fra lirismo e tempesta, fra sogno e inquietudine, restando sempre ai confini indicibili fra silenzio e grido. Erland Dhalen ha dato spesso la sensazione di avere nel suo vasto set percussivo la chiave di queste fascinose alternanze.


Alla fine, sul mio taccuino era scritto: poesia pura, malinconica e aspra. Evocatrice. Ricca di memorie, ma dotata di una sua cifra inconfondibile.


Molvaer è uno di quei musicisti che riconosci sempre, e non solo perché la sua proposta è sempre simile a sé stessa, ma anche perché emoziona, ogni volta che si ascolta.



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