Come sto bene qui: racconti, suoni e visioni dell’Africa.

Foto: Copertina del Libro










Come sto bene qui: racconti, suoni e visioni dell’Africa.


«Ognuno ha unito, in tempi diversi eppure poeticamente simultanei, le proprie competenze e i propri limiti. L’idea era di “non” fare un semplice disco, di “non” fare soltanto un racconto. E neppure soltanto un libro.» Sandro Cappelletto introduce con queste parole Come sto bene qui. Un volume bifronte – «Come una retta che può andare da un punto A a un punto B. Ma la stessa retta può anche percorrere il cammino inverso.» questa la chiosa di Cappelletto – animato da tanti protagonisti e tante forme espressive, racconti e fotografie, musica e dipinti. Da una parte il racconto di Sandro Cappelletto, costellato dalle fotografie di Enrico Minasso. Dall’altra, i dipinti di Mirco Marchelli, introdotti da una nota di Adolfo Francesco Carozzi. Al centro, issato su una pagina di cartoncino spesso, il compact disc: brani registrati nel 1990 e, sempre in quell’anno, presentati dal vivo al Festival Jazz di Montréal, corredati da testi e fotografie riferiti alla musica del Marangolo Quartetto Orizzontale.


L’Africa è il centro delle riflessioni e delle esecuzioni dei tanti protagonisti coinvolti. L’esposizione è volutamente molteplice, contestuale: la dimensione orizzontale – proveniente dal riferimento al mito e dalla denominazione stessa del quartetto – si rivela una chiave di lettura importante. L’accostamento delle varie espressioni porta a riflettere e a interrogarsi in maniera ampia e diversificata su un continente che spesso siamo abituati a semplificare e, di conseguenza, non comprendere a fondo.


Sia nel lavoro fotografico di Minasso che nei disegni di Marchelli e anche in alcuni passaggi del racconto di Sandro Cappelletto si vede o si percepisce una visione asciutta, poco lirica, in alcune immagini apertamente drammatica dell’Africa. «Il lirismo è uno sguardo da villaggio vacanze, afferma lo scrittore. La drammaticità, certo, ma anche la bellezza assoluta: lo stare bene. Andare in Africa, lavorare lì, partecipare a progetti di cooperazione, forse non serve agli africani, ma certamente serve a noi.» Nel racconto, però, trova spazio anche la dimensione magica… «E’ decisiva, soprattutto nella sequenza finale. Spero di essere riuscito a renderla viva, materiale, sensibile, così come l’ho vissuta, misteriosamente eppure evidentemente.» Una visione che si compenetra anche nella orizzontalità del mito. «”Quando ci vediamo?” “Domani”. “Domani quando?” “Domani”. Ecco: la concezione del tempo è, diciamo, meno ossessiva della nostra. La cultura orale attualizza il passato, anche il più remoto, al presente. E tutto scorre, in un cerchio infinito, mentre le scansioni implacabili del tempo si appannano.»


Antonio Marangolo e Peppe Consolmagno puntano l’accento sul reciproco influsso di immaginazione e realtà nella loro musica. «In ogni narrazione, sia essa letteraria che musicale, e la musica del quartetto è narrativa, mito o immaginazione e realtà si scambiano a vicenda elementi seguendo un processo per cui quelli reali devono sembrare mitici e immaginari e quelli di fantasia devono apparire reali. La concezione del quartetto e le musiche sono frutto di un’idea precisa di Antonio Marangolo. «La scrittura segue il concetto di melodie che si intrecciano spesso su un bordone: il processo di composizione si basa più sul timbro che sull’armonia, più sulla melodia che sull’armonia stessa e con un concetto di ritmo libero. La orizzontalità del nome e della musica è frutto di questa idea in cui le linee melodiche viaggiano verso l’infinito.»


«Il rapporto del Marangolo Quartetto Orizzontale con l’Africa, prosegue il sassofonista, è presente nella musica del quartetto oltre che per l’uso di percussioni di indubbia origine africana anche per la pronuncia jazzistica del sax e per tutto quel mondo che involontariamente da quando la musica afroamericana è stata diffusa soprattutto nel modo di cantare, si è insinuato in tutte le musiche. Ma soprattutto è presente perché il concetto di partenza del quartetto è: “una voce e un tamburo”.»


Come sto bene qui è un lavoro plurale e le sue diverse componenti sono state concepite e realizzate in maniera distinta, in uno spettro temporale quanto mai ampio. Questo non ha impedito però la magia dell’incontro. Sandro Cappelletto rivela come «l’ascolto del loro disco è stato il momento decisivo. L’idea di musica orizzontale, l’evidente presenza di atmosfere sonore che sentivo riconducibili ad emozioni africane, mi hanno suggerito l’immagine di partenza del racconto.»


«Il master era pronto veramente da tanto tempo, prosegue dal canto suo Peppe Consolmagno. A periodi si riprendeva in mano l’intenzione di pubblicarlo. Gli stimoli esterni, oltre al lavoro di per se ben fatto, sono stati diversi: dalla partecipazione del quartetto al Festival Internazionale del Jazz a Montreal in Canada, dall’utilizzo di Vittorio Gassmann delle musiche del quartetto per il programma Cammin leggendo e abbinate con successo ai versi dei nostri più grandi poeti. Mancava sempre qualcosa e soprattutto l’unione degli intenti. Ognuno di noi, a modo suo, sentiva di dover portare nel cofanetto del cd non solo il proprio essere musicista: Antonio con lo aver scritto e pubblicato tre romanzi; Mirco con la sua vena creativa unendo la pittura, alla musica e alla poesia con pubblicazioni e mostre; io stesso con la costruzione dei miei strumenti e la pubblicazione di articoli e monografie; i fotografi Andrea Repetto ed Enrico Minasso seguono da tempo amorevolmente il lavoro del Quartetto. Aver conosciuto Sandro Cappelletto è stata una svolta decisiva e molto positiva. Ne è uscito un lavoro in cui tutti ci riconosciamo, che ha attraversato un percorso storico e personale lungo, articolato e maturo.»