Intakt Records – CD 332 – 2019
Stefan Aeby: pianoforte, pianoforte preparato, elettroniche
Non certo nuova alle produzioni devolute al pianoforte solo (citiamo già a memoria le prove individuali dei veterani Alexander von Schlippenbach o Aki Takase, dei più recentemente affermati Alexander Hawkins o Aruan Ortiz, nonché dell’iconica Irène Schweizer, oltre ad un archiviato Cecil Taylor), l’etichetta Intakt records tributa spazio solistico ad un raffinato giovane prodigio, già apprezzato per le preziosità espressive palesate in seno ad ensemble elvetici (non soltanto la notevole formazione Pilgrim, ma egualmente i via via più ambiziosi programmi della vocalist Sarah Buechi), ma non poco per il proprio personale filone entro il piano trio, intrapreso presso le label Unit ed Ozella ed ultimamente conformato presso la casa discografica ora ospitante.
Oltre alla veste di punta, comunque interattiva, entro il proprio trio o negli ingegnosi ruoli di controcanto già brillantemente espressi entro le citate band, si abborda adesso un certo grado di rimessa in gioco e riproposizione per un nuovo lavoro, stavolta in solitaria, sviluppato entro un arco temporale di oltre tre anni e che ha prodotto materiale sovrabbondante per una singola incisione, da destinare quindi a vaglio critico ed editing.
Aprendosi nella ieratica, scintillante Yume, di non poco sentore estremo-orientale, il sound manifesta un pregnante carattere minerale grazie alla preparazione metallica del pianoforte, la cui essenziale fraseologia si palesa poco netta per le sbavature e le continue distorsioni a carico pressoché di ogni nota ed accordo, nella resa finale collocandosi entro un’orbita molto prossima alle più astratte speculazioni di un Brian Eno, che è peraltro la figura citata in apertura del libretto – in realtà più per le sue reprimenda ai musicisti avant-garde circa la loro scarsa cura verso la dimensione artistica della registrazione in studio e della ripresa sonora.
Questi concetti sembrano essere influenti nel background del lavoro, come già il primo brano esplicita, e dunque l’album procede nel più “canonico” (nella polivalenza dell’aggettivo) spirito confessionale tracciante la successiva Song for A., melanconica ballad cui la corrosione timbrica impartisce determinante fragilità; l’espressione pianistica guadagna più nitido corpo nell’intima Misty (a firma di Erroll Garner), succeduta dalle oscillazioni da metallofoni orientali a segnare la fibrillante vita della languida Dancing on a Cloud.
Si guadagna corposo senso ritmico nell’austera Flingaa, segnata da un importante spirito proto-jazz, dal senso dello swing impuro e delle cadenze instabili, che cede il passo al vacuum cosmico del desolato, breve interludio Dings, con sensibile viraggio d’ambientazione emotiva, come pure nella successiva, vibratoria Singing Witches, timbricamente connessa ai primi vagiti della musica elettronica.
La libera successione procede nelle inquietanti atmosfere da soundtrack post-moderna nella frenetica Subway Run, preludendo alle proto-elettroniche nuovamente rappresentate nella telegrafica Mr. Pong; la voce pianistica in scordatura nell’alienante Tempus Fugit perviene torbida nel suo claudicante incedere.
Climi industriali segnano gli sviluppi dell’impersonale piano preparato nell’artificiosa Magnetophon, il cui carattere è nella sostanza mantenuto nella successiva, affine Running Deeper, dalle lente articolazioni.
Il congedo perviene riguadagnando un notturno lirismo nella più concentrata Yoru, che chiude un circolo in carattere con il brano d’apertura.
Il concentrato instrumentarium di piano ed elettroniche palesa ampiezza espressiva grazie all’elaborazione e agli artifici timbrici pervadenti l’intera sequenza; il mutevole carattere e l’alterno mood delle esternazioni sono attraversati ed implementati da alonature, riverberazioni e micro-dissonanze nella fibra del sound, che non mira affatto alla levigatezza quanto ad un impattante artificiosità generale, tendendo allo sbilanciamento delle timbriche verso un variabile grado di torbidità, entro una musicalità tutt’altro che eufonica nella resa finale, nonché un pervasivo grado di straniamento ascrivibile appunto ai citati artifici.
Per materiali complessivamente da affidare a più riascolti, un album dall’eccentrica concezione che rinsalda la fisionomia del giovane solista e creativo zurighese che ne risulta ulteriormente sfaccettata, articolando un’amministrata presa di rischio nello spirito dell’esplorazione e della ricerca.
Link di riferimento:
Sito web: stefanaeby.com
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