Foto: la copertina del disco
Choices, ovvero l’arte del duo
Si chiama Choices l’ottimo disco realizzato in duo dal nostro pianista Michele Franzini e dall’importante sassofonista americano Greg Osby. Non capita spesso che un jazzista italiano incroci il suo strumento, e in duo, face to face, con un fuoriclasse americano. È toccato a Michele Franzini a cui abbiamo chiesto di raccontarci questa sua indelebile esperienza.
Jazz Convention: Michele Franzini, è d’obbligo chiederti come vi siete conosciuti tu e Greg Osby e come è nato il progetto Choices?
Michele Franzini: Quasi per caso, o forse no: Greg è uno degli artisti che ho seguito con più attenzione da anni, sia come solista che come compositore. Faceva una musica per me molto affascinante e al di fuori degli schemi, così, quando mi chiamarono come pianista in un gruppo di ottimi musicisti che aveva il compito di accompagnarlo per il concerto finale di un seminario da lui tenuto in Italia, ormai cinque o sei anni fa, accettai ben volentieri! A quel primo incontro, seguirono vari concerti distanziati nel tempo, sempre con lo stesso gruppo, finché un giorno Greg mi parlò anche del suo interesse per la dimensione del duo, formazione che permette la massima libertà espressiva. Io stesso, dopo tanti anni dedicati alla musica per vari quartetti/quintetti, formazioni che di solito prediligo, ero alla ricerca di una situazione dove il suono del pianoforte avesse un ruolo più centrale, così abbiamo fatto nascere questa cosa. Fortunatamente, abbiamo avuto occasione di suonare in pubblico anche col duo, prima di registrare. Nel panorama un po’ asfittico ed irrigidito dei jazz club, è molto importante che ci sia ancora qualcuno che punta su proposte originali inedite, aiutando così la nascita di nuovi progetti!
JC: Sin da principio era un lavoro pensato per pianoforte e sax alto?
MF: Credo di averti già risposto, almeno in parte. Devo dire che non ci siamo troppo arrovellati nella scelta del repertorio, a dire il vero! Da qualche anno, sto cercando di concentrarmi sull’idea di fare funzionare brani di diverse concenzioni, indipendentemente dal gruppo con cui mi trovo a suonare, duo, trio, quintetto, musicisti di area “mainstream” o meno, qualsiasi ambito può dare luogo a situazioni interessanti, se si è disposti a rischiare un po’ e non si ha in testa una idea troppo rigida di quale deve essere il risultato.
JC: La qualità della musica suonata è molto alta ed è a metà strada tra improvvisazione e fine tessitura compositiva.
MF: Ti ringrazio per l’apprezzamento! Contrariamente al mio modus operandi di alcuni miei lavori precedenti, in questa seduta di registrazione direi che la componente aleatoria ha preso decisamente il sopravvento. Certo, memore in qualche modo della lezione degli inarrivabili numi tutelari della composizione jazz, Monk, Mingus, cerco sempre di fare si che il tema da cui si sviluppano i soli abbia una personalità precisa e non si riduca ad una melodia che può essere interpretata in vari modi come quella di una “song”. Di solito parto più volentieri da una successione armonica un po’ inusuale (“Vado Dove Vedo”), o da un “groove” (il 7/4 un po’ “nascosto” di “Beauty Has Your Voice”). Qualche volta riesco nell’intento. Chi conosce “Odd Stories”, “Un lettore distratto” o soprattutto “Wrecks”, del gruppo “The Angle” con Ralph Alessi, probabilmente mi ricorda come un musicista piuttosto attento al rapporto tra scrittura ed improvvisazione, con strutture a volte un po’ complesse, che se hanno il vantaggio di fornire un “sound” ben preciso all’ascolto, corrono il rischio di “ingabbiare” le parti solistiche, ma in questo caso, grazie appunto alla formula molto aperta del duo, non è così.
JC: Il disco è inciso per la casa discografica di Osby…
MF: Si, la “Inner Circle Music” è un’etichetta statunitense indipendente molto interessante, creata da Greg per operare le proprie scelte in assoluta autonomia. Inutile dire che per me è stato un grosso onore essere inserito in catalogo!
JC: Choices è composto da undici brani di cui due sono delle cover magnifiche di Ashes di Andrew Hill e Ask Me Know di Monk. Perché avete scelto questi due pezzi?
MF: Grazie ancora per il complimento. La musica di Monk è per me qualcosa di assolutamente imprescindibile per la crescita artistica dei musicisti jazz contemporanei e fornisce sempre un terreno comune di sicuro interesse per l’incontro tra solisti di diversa estrazione. “Ask Me Now” è stata proposta per l’incisione da Greg, ma se non ricordo male l’avevamo già eseguita in più occasioni col quintetto di cui ho parlato in precedenza. Rimane forse il brano di esecuzione più “mainstream” di tutta la seduta di incisione. “Ashes”, sempre proposto da Greg, è una ballad meravigliosa che io non avevo mai suonato, da lui già incisa in quartetto per il CD Blue Note “The Invisible Hand” (in compagnia di Jim Hall!). Benché dal vivo ci capiti di suonare volentieri anche delle “song”, per l’incisione abbiamo preferito concentrarci, oltre che sui nostri brani, su composizioni firmate da grandi musicisti della storia del jazz moderno. Come ho detto, nessuna preclusione a suonare dal vivo altri tipi di repertorio, anche se oggi tocca spesso ascoltare discussioni sterili quanto ostinatamente partigiane sulla centralità o meno degli standard nelle scelte dei musicisti. Solo una comunanza di intenti emersa col tempo.
JC: Nel brano In Freequent Flyers 1, 2 e 3 siete alle prese con l’improvvisazione pura…
MF: Certo! Benché probabilmente non sia considerato un musicista “free”, ho aderito fin dai miei esordi a questa forma di linguaggio, dove la libertà d’espressione è massima, tanto che mi è capitato abbastanza spesso di inserire delle parentesi di libera improvvisazione nei miei lavori. Come si può immaginare, il duo si presta benissimo a sviluppare improvvisazioni pure in cui le idee si rincorrono in un sottile “interplay”. Credo che le improvvisazioni “free” contenute in “Choices” siano anche un esempio (più o meno riuscito, sta a voi giudicare) di come si possano cercare, anche nell’ambito di un linguaggio atonale, atmosfere meno rabbiose e più rarefatte, memori da un lato di certa musica contemporanea eurocolta, dall’altro delle sperimentazioni di un Paul Bley, ad esempio.
JC: Dei brani restanti tre sono scritti da te e sei da Osby. Li avete pensati in funzione di una vostra interazione o nascono come corpi a se stanti?
MF: L’unico brano che ho scritto espressamente per il duo è “Beauty Has Your Voice”, mentre le altre sono precedenti e potrebbero funzionare per formazioni più allargate. Le composizioni di Greg, a parte le improvvisazioni libere, ovviamente, sono già state incise in quartetto/quintetto, alcune nei suoi CD per la Blue Note. Il fatto di avere bene in mente che suono avevano in quelle incisioni mi ha un po’ condizionato, ho dovuto inventarmi come rendere all’interno di un duo qualcosa che funzionava a meraviglia con una sezione ritmica. Nel caso di “Equalatogram”, ho ideato una traccia di accompagnamento che “riassumesse” l’impasto di vibrafono e pianoforte, presenti nell’incisione in quintetto, ma in generale, per quanto riguarda le altre composizioni, paradossalmente ho capito presto che il modo migliore per suonarle era quello di togliere e non di aggiungere! In ogni caso, suonare in duo brani che, a differenza delle usuali “song” di repertorio, non hanno una spiccata componente melodica, ma anzi trovano un’identità sonora precisa nella presenza di una sezione ritmica articolata e moderna, è stato sicuramente stimolante e probabilmente ha contribuito a dare una certa originalità a questa sessione di incisione.
JC: L’esperienza con Greg Osby cosa ti ha dato dal punto di vista professionale ed umano? Ci sarà un altro disco?
MF: Sicuramente molto. Come ho già detto, possedevo già molte incisioni di Greg Osby, che cercavo di procurarmi ad ogni nuova uscita, così quando ebbi occasione di conoscerlo di persona ero molto incuriosito. Le esperienze con musicisti di grande levatura ti portano comunque sempre qualcosa, ma non è assolutamente scontato che il lato umano non possa risultare deludente, mentre in questo caso mi sono trovato a confrontarmi con una persona molto interessante, con cui parlare anche di argomenti al di fuori della solita musica! Di sicuro ho anche avuto modo di riflettere su una filosofia nel modo di affrontare l’improvvisazione che al di là di ogni luogo comune fa veramente risultare l’imprevisto, l”errore”, come una preziosa risorsa per accrescere il proprio linguaggio, fino a cercare volutamente il “rischio” anche nell’esecuzione di un semplice standard. Una nuova incisione? Ovviamente ci farebbe piacere, ma è ancora presto per pensarci e poi contiamo di avere nuovamente qualche concerto, intanto. Di sicuro, dovrebbe essere qualcosa di diverso da “Choices” nella sostanza: mai ripetersi!
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