Hubro Music – HUBROCD2616 / LP3619 – 2019
Jo Berger Myhre: contrabbasso, elettroniche, Simmons SDS8, Prophet 6
Ólafur Björn Ólafsson: piano verticale, organo Farfisa, Moog, batteria, percussioni
ospiti in Atomised, Both Worlds, Conjure up the Past
Eiríkur Orri Ólafsson: tromba
Ingi Garðar Garðarsson: trombone, tuba
Background originale quanto suggestivo, per una nuova dualità dell’avanguardia partente dalle sinergie tra il bassista e sperimentatore norvegese Jo Berger Myhre e l’omologo islandese Ólafur Björn Ólafsson, polistrumentista più devoluto a tastiere e percussioni.
Già prodottisi nel breve The Third Script (Hubro, 2017), i due rinsaldano l’associativa creatività tornando a fissare materiali in studio tra Reykyavik e Oslo, traendo ora una più intuitiva ispirazione nel titolo dall’omonima isola delle Canarie, connotata da desertici panorami di ceneri vulcaniche, meno intuitivamente dall’ancor omonimo romanzo dello scrittore Michel Houellebecq, la cui controversa e provocatoria produzione è stata ben attenzionata dai due co-autori ma non riprodotta in termini musicali, sia pur riconoscendo la profonda fascinazione verso i contrasti tra profondità emotive e misantropiche asprezze, ricorrenti nella sua narrativa.
Apertura nelle guise di un paesaggismo elettronico con Grain of Sand, in cui Ólafsson importa qualche setosità di soundscape non del tutto estranea alle sue frequentazioni quale sideman presso i Sigur Rós, nel configurare del materiale complessivamente etereo ma pur fruibile, segnato da una melanconia remota e e da una interiorità in dialogo con le dimensioni del subconscio.
Il programma seguita nella più scultorea Atomised / All We’ve Got, con più decisa rappresentazione per la ritmica, a tratti implicita e smorzata ma di tratto comunque effervescente e determinante per la fisionomia di un brano di sulfuree acidità; sommessa la meditazione nella lenta e libera progressione di Both Worlds, cui l’esangue voce degli strumenti d’ottone conferisce clima dolente, sottolineato dalle languide linee d’arco del contrabbasso, in un clima anticato e sognante.
A conferire il più teso carattere di Mimophant opera il percussivo sistema di groove, alonato dalle elettroniche, preparando le timbriche più esotiche e tropicaleggianti nella sincopata Current, non priva anch’essa del carattere di meditazione attiva e vigile.
Sontuosa apertura del contrabbasso in Conjure up the Past, scandita da una trasparente ritmica ad orologeria entro un clima misterico; sottile e quasi esanime il respiro della fragilissima, conclusiva ripresa di Grain of Sand, che riprende in trasparenza i materiali d’inizio album, recando come nell’intro una ispirata dedica all’amico e mentore Jóhann Jóhannsson, il cui recente e traumatico trapasso ha comportato notevoli ripercussioni e giustifica ampiamente la rilevabile, mesta dimensione emotiva e la visionarietà spettrale.
La connotazione jazz delle fraseologie al contrabbasso di Berger Myhre s’articola in sinergia con le quadrature e le invenzioni maggiormente rockeggianti della percussione di Ólafsson, cui s’affianca la bruciante destrutturazione di trombone e tuba, elemento che potrà suggerire connessioni con certi mondi di creativi nordici (Molvaer o Henriksen tra i non prossimi congiunti), da cui rimane formalmente distinta per la peculiare animazione ma soprattutto per le combinazioni cromatiche ed in generale stilistiche.
Ben più strutturato di un’espressione Ambient, di questo filone Lanzarote riprende il potenziale evocativo e figurativo nell’edificazione di una dimensione psichica, certo tendendovi con ingredienti costitutivi più riccamente articolati, tendendo ben oltre i micro-temi melodici e disvelando l’ambizione d’intessere con modalità private e personali una dimensione narrativa ed affrescale.
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