Parco della Musica Records – 2020
Franco D’Andrea: pianoforte
Mirko Cisilino: tromba
Enrico Terragnoli: chitarra, elettronica
New Things è il nuovo progetto del maestro Franco D’Andrea. Il titolo del disco, nell’accezione del pianista meranese, ha due significati: nuovo gruppo e nuova musica. Poi ascoltandolo ci si rende conto che lo sdoppiamento è fittizio perché nuova musica e musicisti sono la stessa cosa, una espressione dell’altro e viceversa. D’Andrea ha messo in piedi l’architettura, ha dato una direzione, concedendo massima libertà di azione ed espressione ai due partner. New Things diventa così un progetto fondato sulla creatività individuale che si collettivizza e si riconosce in alcuni punti tematici introdotti dal pianista, tra cui gli intervalli e i suoi conseguenti sviluppi improvvisati che si dotano di nomi e formule tecniche come A4, M2 + m7 oppure m6 + M3.
D’Andrea affida questa sua nuova creazione al genio “elettrico” del chitarrista Enrico Terragnoli, sparring partner e creatore di suoni nell’ottetto di Intervals, e al giovane, duttile e colto trombettista Mirko Cislino. Dopo la scorpacciata “umana” dell’ottetto, crogiolo di menti, tecniche e creatività, D’Andrea si minimalizza nella proposta ma non nella voluminosità dei suoni, che come caratterista della sua musica e della sua mente a suonare sia sempre un’immaginata orchestra o per lo meno l’impatto che ha la stessa con gli spazi. Manca la ritmica, in questo caso, fattore esiziale nell’idea di suono del pianista. Per ovviare ecco che tutti e tre adottano qualsiasi espediente pur di dare un’impressione tangibile che esiste un substrato ritmico e timbrico. Ad alimentarlo sono i tasti del pianoforte, un uso forzuto o da basso tamburato (sul modello Jimmy Garrison, per intenderci…), delle corde della chitarra o un soffio più corposo (in stile pre Davis), e tattile di tromba. Dunque esperienza e creatività messa al servizio di un progetto univoco ed originale dove D’Andrea continua a perseguire con risultati felici il suo sogno di coniugare passato e futuro del jazz. Lui moderno, o meglio post moderno, traghettatore e demiurgo che si serve del presente come luogo dello sperimentare e usa il tempo come espediente distopico per riscrive la sua felice idea di jazz: «Simile alla cometa che fra cinque minuti esatti si porterà via un pezzo di terra…» (Julio Cortazar, “Il giro del giorno in ottanta mondi”).
New Things è un disco doppio. Il primo contiene nove brani mentre il secondo quattro. Il primo brano dal titolo algebrico e dalla semantica intervallare si chiama A4. Come da ormai rodata caratteristica di D’Andrea, un musicista in solitudine introduce la narrazione a cui poi improvvisando si associano tutti gli altri. In questo brano tocca al pianista picchiettare su pochi tasti che danno il La prima a Cisilino, che fa il verso a Louis Armstrong allungandolo con ruggiti alla Bubber Miley, e poi a Terragnoli che sdoppiandosi fa chitarra e basso allo stesso tempo. Tutti insieme swingano tra un richiamo da big band prebellica e una futuribile improvvisata. L’ipnotica e misteriosa Douala invece è introdotta da alcuni sparuti accordi di chitarra che trovano subito risposte negli interventi di pianoforte e tromba. Le note di D’Andrea sono corpose e cariche di bassi. Tocca a lui la ritmica mentre con l’altra mano improvvisa e tiene bordone alle invenzioni di tromba e chitarra. Non poteva mancare nella sequenza l’apertura di tromba. Questa spetta a Cisilino in M2 + m7 / Livery Stable Blues. Il trombettista “intervalla” ripetendosi ossessivo con un riff iniziale che trova subito sponda in pianoforte e chitarra in una composizione lunga e complessa, disegnata su un blues di fondo che ognuno richiama con micro accenni improvvisati, prima di sfociare a metà brano tra le braccia infuocate, alcoliche e primordiali di Livery Stable Blues.
New Things è un disco sorprendente perché improvvisazione e creatività lo rendono unico. L’espediente intervallare apre scenari inediti e fomenta la fantasia dei musicisti che imperterriti reinventano dialogiche sfide su poche note di pianoforte come in m2, oppure in Altalena, che il sarto equilibrista Terragnoli apre con minimali spunti di chitarra che vanno ad insidiarsi tra i tasti timbrici del pianoforte. Il giro di basso, che non c’è, tiene assieme le fughe armoniche tra effetti elettronici, astrazioni pianistiche e ascensioni di tromba. Poi c’è il blues, fondamenta indissolubile nella musica di D’Andrea, che il pianista reinventa, con un piede nelle bettole di New Orleans ed un altro tra le sequenze di Matrix, in March. C’è del ragionamento in questa presunta e folle anarchia di suoni, ma anche istinto, quello di chi vive di musica e sa sempre dove andare a parare nonostante l’incombente oscurità delle “Highways lynchiane” possano incutere paura e paralisi. E per l’appunto Terragnoli non si tira indietro e con scariche elettriche di fotoni armonici cattura piano e tromba lanciandoli in una corsa forsennata verso un’ignota dimensione temporale denominata P4. Oltre quella porta ricompare futuribile e swingante un nuovo passato intitolato A New Rag Suite. È un pezzo magnifico, pendolare, nel senso che la musica oscilla tra gli antipodi del jazz e i tanti futuri di questa musica, con Monk che se la ride sornione in un angolo della stanza. D’Andrea riequilibra la temporalità riportando il trio tra le astrazioni del presente intervallare prima con m6 + M3 e poi in sequenza inversa nell’elettrico m3 + M6. Qui Terragnoli dà un saggio su come manipolare l’elettronica trascinando sul suo terreno, attraverso un climax crescente, piano e tromba. Brano straordinario per inventiva ed intensità. Apice progettuale della “nuova cosa”. Deep, onomatopeico, si muove tra le viscere del blues e il paganesimo spirituale di Coltrane, avvolto da un’atmosfera di misterioso rituale. Ritorna il cifrario algebrico/intervallare con l’enigmatico e sub lunare formulario di M7 + M2 e la lunga e bifronte suite intitolata P5 + M3 / Tiger Rag, una carrellata finale di suoni che epiloga la nuova frontiera di un maestro dei tempi futuri, Franco D’Andrea.
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