Dario Doronzo, Reimagining Opera: la classica in “jazz”

Foto: la copertina del disco










Dario Doronzo, Reimagining Opera: la classica in “jazz”

Dario Doronzo e Pietro Gallo, rispettivamente trombettista e pianista, hanno progettato un disco affascinante e piacevole, che trae ispirazione da alcune grandi Opere appartenenti alla musica classica. Le hanno ripensate, seguendo la loro sensibilità e intuito, attraverso un processo musicale basato sull’immediatezza espressiva ed intimista del jazz.



JC: Dario Doronzo, come ti sei avvicinato alla musica e perché hai scelto la tromba/flicorno?


Dario Doronzo: L’incontro con la musica è avvenuto perché i miei genitori hanno invogliato, me e i miei fratelli, a coltivare l’arte, ed in particolare l’arte dei suoni. Ricordo le parole di mio padre che citando Nietzsche ci diceva sempre: «Senza musica la vita sarebbe un errore». Inoltre, in casa si respirava la creatività di mia madre che era sempre intenta a dipingere o decorare oggetti. Insomma, ne ho sentito il profumo sin da piccolo. Certo, la musica non ci è mai stata imposta! Mi sono avvicinato allo studio della tromba durante gli anni della scuola media. L’incontro è avvenuto quasi per caso, potrei dire che lei a scelto me. In effetti, inizialmente, desideravo suonare la chitarra, ma il docente di tromba mi ha voluto a tutti i costi nel suo corso. Riteneva avessi le giuste labbra per questo strumento. Non smetterò mai di ringraziarlo



JC: I primi passi dove li hai compiuti e chi sono stati i tuoi maestri?


DD: Come ho detto poc’anzi mi sono accostato allo studio della tromba all’età di undici anni. L’approccio iniziale a questo particolare strumento a fiato non è per nulla facile ed intuitivo. I primi passi con altri strumenti sarebbero stati certamente più agevoli ed incoraggianti. La tromba, invece, richiedeva tanto allenamento e dedizione per dei risultati non molto piacevoli all’orecchio, soprattutto all’inizio. Passavo ore ad esercitarmi con la sola imboccatura senza emettere un suono! Il mio primo maestro diceva sempre: «Canta, soffia e vibra». Sono stato molto caparbio, come sempre nella mia vita. Ho sempre visto le difficoltà come ostacoli da superare e non come muri insormontabili. L’ascolto dei miei primissimi CD mi regalava ancor più energia nello studio dello strumento. Mi sono innamorato fin da subito di Miles Davis, Chet Baker e Louis Armstrong; tre giganti del jazz, così diversi tra loro. Studiavo cercando di emularli, nel rispetto del loro immenso talento e convinto che avrei ottenuto anch’io, un giorno, un timbro musicale riconoscibile e assolutamente originale.



JC: Cosa ti ha spinto verso il jazz visto che hai una formazione classica?


DD: A dir il vero non saprei con precisione quando ho “virato” verso il jazz. Fin da piccolo amavo ascoltare la musica di stampo jazzistico e il solismo classico… in effetti, l’essere eclettico e creativo fa parte un po’ della mia natura. Affiancavo l’ascolto dei grandi del jazz con i solidi storici solisti classici della tromba. Ho sempre amato la musica classica. Ho adorato e adoro tutt’oggi i suoi schemi, il suo equilibrio, la serenità e sicurezza che trasmette. Ma, alle volte, mi appariva un po’ stretta. Per questo, ho maturato il bisogno naturale di conoscere qualcosa di diverso; così, dopo aver terminato gli studi classici del Conservatorio, mi sono immerso e catapultato nell’improvvisazione, nell’estro e nella passionalità di questa musica travolgente. Ora, invece, nella maturità della mia vita sento il bisogno di ricongiungermi al passato e, quindi, di avvicinare due mondi che ho sempre amato in modo assoluto, il jazz e il classico che convivono nella mia anima come cuore e mente nel mio corpo.



JC: Quali sono i musicisti che ammiri in assoluto, soprattutto trombettisti?


DD: Ce ne sono così tanti… la mia ricchissima collezione di cd e vinili lo dimostra! Amo follemente la versatilità di Miles Davis, l’energia di Louis Armstrong, il virtuosismo di Dizzy Gillespie, il suono di Chet Baker e tanto, tanto altro ancora. Quando ascolto questi titani del jazz rimango affascinato dalla loro grintosa passionalità e forza emotiva. Mi entusiasma ancor di più il pensare che la loro musica ha sormontato confini invalicabili non solo dal punto di vista fisico ma anche e soprattutto culturale. Sono stati pionieri dei diritti del “diverso”. Li amo e li venero anche per questo. Non bisogna guardarli solo come musicisti ma anche come personalità che hanno cambiato il mondo. Non è solo una questione di gusto ma di rispetto e ammirazione. Sono stati così folli da modificare la nostra mentalità, ed esprimendo il loro estro, lo hanno reso migliore.



JC: È risaputo che ci sono grandi differenze tra i due generi, jazz e classica, soprattutto stilistiche e tecniche…


DD: Si, è innegabile. Sono due mondi caratterizzati da evidenti diversità derivate da fattori culturali, territoriali, storici, stilistici, etc. Certamente tra musica classica e musica jazz esiste una sostanziale differenza in quanto l’interprete di una composizione jazz concentra il suo operato sull’improvvisazione al fine di creare ed elaborare musica in maniera estemporanea; al contrario, il musicista classico concentra tutte le sue qualità e conoscenze sull’idonea interpretazione di musica scritta. Nel corso degli anni i due mondi si sono più volte avvicinati, influenzandosi a vicenda in richiami reciproci, citazioni, riformulazioni quasi ci fosse un’attrazione fatale che sfocia in melodie avanguardistiche.



JC: Quando è nata l’idea di riportare nell’alveo jazz alcune grandi Opere, patrimonio dell’immaginario collettivo classico?


DD: È stato tutto abbastanza naturale. Io e il mio amico Pietro Gallo siamo dei musicisti jazz accomunati da un background di studi classici. Con il nostro Duo Re-Imagine abbiamo voluto dar voce a quel dialogo tra la musica operistica italiana e l’improvvisazione jazz di stampo europeo. Gli arrangiamenti del noto maestro Gianluigi Giannatempo sono stati essenziali per la concretizzazione e l’evoluzione del nostro ambizioso progetto.



JC: Reimagining Opera è il disco che racchiude il tuo progetto suonato assieme a Pietro Gallo al pianoforte. Come nasce questo vostro sodalizio?


DD: Io e Pietro ci conosciamo da tempo. Il primo ricordo che ho di lui è in aereo, destinazione Serbia, dove entrambi avevamo ottenuto un contratto lavorativo. Eravamo giovanissimi e pieni di energia. Certo, due personalità a volte diverse ma che combaciavano. Io folle, passionale, maniaco della precisione; lui pacato, ottimista e soprattutto leale. Si, mi sento di dover dire che Pietro mi ha trasmesso fiducia. Fiducia cieca nei confronti di qualsiasi scelta, a volte anche sopra le righe, che gli propinavo…. lo stesso io nei suoi riguardi. Nessuno di noi ha mai chiuso la porta all’altro anche quando abbiamo avuto delle divergenze. Con il passare del tempo siamo cresciuti, abbiamo maturato nuove consapevolezze senza mai allontanarci ma, al contrario, abbiamo cementificato il nostro sodalizio



JC: Quale criterio avete adottato nella scelta delle Opere da suonare? E perché suoni il flicorno e non la tromba?


DD: La scelta delle Opere è stata ampiamente discussa. Volevamo delle melodie che trasmettessero l’idea di un percorso immaginario, non solo temporale ma anche tematico. Abbiamo voluto ripercorrere la storia della lirica italiana da Monteverdi a Mascagni. La scelta del flicorno, poi, mi è sembrata la più coerente con le valutazioni stilistiche e musicali. Dovevo produrre un suono soffuso, quasi sospirato e penso che il flicorno contenga tutte queste caratteristiche.



JC: In Reimagining Opera hanno collaborato con voi anche il maestro Gianluigi Giannatempo e il polistrumentista Michel Godard. Come siete riusciti a coinvolgerli?


DD: Il maestro Giannatempo è un’eccellenza del nostro territorio ed è apprezzato in tutto il mondo per gli arrangiamenti e composizioni musicali. Quando ci siamo incontrati per parlare del nostro progetto, ha accolto con grande entusiasmo la nostra proposta entrando, da subito, in sintonia con il nostro obiettivo. Con Michel Godard, poi che dire. Amo la sua semplicità e umiltà, nonostante sia uno dei mostri sacri della musica francese, uno dei principali esecutori del serpentone nel panorama mondiale. Ho adorato fin da subito l’emozione che riesce a trasmettere con il suo strumento, la pastosità e il calore del suo suono riecheggia emozioni intime quasi riapparse da un vissuto passato.



JC: Al termine di questa esperienza discografica e concertistica quali sono le tue impressioni e i feedback ricevuti da chi vi ha ascoltato?


DD: I feedback sono stati più che positivi. Anzi, sensazionali. Nel luglio 2017 il progetto ha debuttato presso la Carnegie Hall di New York. Eravamo molto timorosi di questa prima esperienza newyorkese, ma felicissimi di poter portare la nostra musica in uno dei teatri più belli ed importanti del panorama internazionale. L’attento pubblico americano, al termine del concerto, ci ha donato un’entusiasmante standing ovation che sicuramente porteremo sempre nel nostro cuore. “Reimagining Opera” poi, è la concretizzazione del desiderio di voler imprimere la musica, del nostro Duo, su disco. L’album, a nostra inaspettata sorpresa, ha avuto un corposo riscontro con numerose e lusinghiere recensioni ed interviste. Siamo così felici di questo positivo riscontro concertistico e discografico. Questi feedback rafforzano, senza dubbio, il nostro progetto musicale e ci spronano, sempre più, a voler “fare” rendendo le nostre idee e i nostri sogni realtà.




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