Finnish Jazz. Intervista. Verneri Pohjola

Foto: Fabio Ciminiera










Intervista a Verneri Pohjola


Recensione a Take it with me

L’intervista con Verneri Pohjola é stata registrata a Foligno, nel giugno del 2006, in occasione del festival Young Jazz in Town, e il disco di cui si parla al futuro é, appunto, Take it with me, il lavoro che viene presentato in questa rubrica.



Jazz Convention: Partiamo dall’Ilmiliekki Quartet e dal cd che registrerete in autunno.


Verneri Pohjola: Registreremo il nostro secondo cd a Goteborg, in Svezia, tra due settimane. La maggior parte del materiale che sarà presente nel disco é già pronto: alcune cose le abbiamo suonate in concerto nel corso degli ultimi anni, altre le abbiamo inserite nelle scalette dei nostri concerti più recenti e, infine, ci sono un paio di brani totalmente nuovi. É una combinazione stimolante: ci sono brani molto rodati, brani che abbiamo testato poche volte dal vivo e brani che eseguiremo per la prima volta in questa occasione. L’improvvisazione cambia se suoni un brano che conosci a fondo o se suoni un brano che é nuovo per te e credo che, in studio, sia giusto e produttivo avere entrambe le situazioni, credo che sia importante avere diverse fonti di ispirazione…



JC: … e avere la possibilità di portare nella musica diversi livelli di partecipazione e di intensità… 


VP: Assolutamente. In studio c’é spesso il problema di essere troppo concentrati sui dettagli e si corre il rischio di non lasciarsi andare: é molto difficile non pensare, é molto difficile mettere da parte i tuoi pensieri per riuscire a concentrarsi in maniera libera sulla musica, per sentire la musica nel modo più totale. Per questo credo che sia importante avere entrambe le situazioni all’interno di un’unica sessione di registrazione. Ad esempio, il fatto di provare i nuovi brani prima di andare in studio, ci permetterà di raggiungere un buon livello di sicurezza e ci permetterà di avere maggiori possibilità di far scaturire qualcosa di nuovo e di inaspettato durante le registrazioni, rispetto al momento in cui suoneremo i brani più consolidati. D’altra parte, quando suoni qualcosa che hai già eseguito nel corso degli anni, sei molto più sicuro rispetto alla musica, puoi fare dei passaggi, delle variazioni molto più sottili e il gruppo reagisce in modo molto più compatto: su questi brani si crea una sorta di linguaggio comune.



JC: Parliamo delle differenze tra il primo disco e il secondo.


VP: Ci saranno grandi differenze tra i due lavori, ma penso che sia ancora presto per dire con precisione quali saranno concretamente le differenze, dal momento che non abbiamo ancora registrato nulla.



JC: Cambiamo argomento e passiamo alle tue ricerche sul suono. Ad esempio, nel concerto di ieri sera, con Francesco Bigoni e Dan Kinzelman, abbiamo potuto vedere come hai agito sullo strumento…


VP: Gli accessori che aggiungo alla tromba danno particolari accenti al suono, al mio modo di suonare, anche se non credo che siano necessariamente il centro della mia ricerca… ma alle volte é davvero stimolante suonare alcune cose differenti, usando suoni differenti. É molto difficile mettersi a cercare di ottenere un suono specifico… ad esempio, credo sia complicato riuscire a far suonare la tromba come una motocicletta. Io cerco di avere un atteggiamento più aperto: se ho un oggetto che posso applicare alla tromba, lo provo e vedo, al momento, come funziona. Ad esempio il bocchino del sassofono: ho visto un musicista francese che lo usava sulla tromba e l’ho provato: ho visto che uscivano suoni davvero interessanti… ovviamente non é che uno parte con l’idea precisa di dove usare questi suoni, ma comincio a lavorare sulle diverse e possibili combinazioni: si creano bei colori, soprattutto se li usi con parsimonia. Ieri sera ho usato anche questi fischietti giocattolo che ho inserito nella campana della tromba; un’altra cosa che é venuta per caso, non sapevo che effetto avrebbero potuto avere, ma viene fuori questo suono molto strano. Mi piace usare questi suoni, di tanto in tanto: certamente, non puoi pensare di usarli in continuazione, ma sicuramente mi piace usare suoni diversi, suoni che posso creare anche senza oggetti, ma semplicemente modificando l’impostazione delle labbra sulla tromba.



JC: E quindi diventa una ricerca continua sul suono; una ricerca che può portare anche degli aspetti divertenti, strani, attraverso gli oggetti con cui prepari la tromba.


VP: Molte persone, oggi, usano l’elettronica per modificare i suoni e anche a me piace intervenire sul suono della tromba attraverso l’elettronica, ma mi piace soprattutto mescolare i due aspetti: trattare gli inserti elettronici come se fossero strumenti acustici e viceversa trattare il suono acustico attraverso l’elettronica, in pratica, mi piace mescolare le due cose insieme in modo da non riuscire a cogliere la differenza tra le due cose. Ieri sera non abbiamo usato strumenti elettronici e, vista l’acustica della chiesa, non abbiamo usato i microfoni; se avessimo avuto questi strumenti, li avrei utilizzati in un modo tale che il pubblico non avrebbe potuto comprendere quando li stavo usando o meno.



JC: La tua famiglia é una famiglia di musicisti, quanto ti ha influenzato questo?


VP: Io vengo da una famiglia di musicisti classici e mio padre é stato il primo a suonare jazz, in famiglia; per altro, mio padre non ha suonato jazz tradizionale: vuoi per il suo strumento, il basso elettrico, vuoi per la radice funky e per la sua maniera di comporre, si può ricondurre il suo modo di suonare alle prime esperienze di Jaco Pastorius. É difficile, per me, dire se la mia famiglia abbia influenzato il mio modo di suonare perché é difficile, per me, immaginare come avrei potuto suonare se non avessi vissuto con loro. Da una parte, questo ti mette addosso una certa pressione, hai delle aspettative alle quali rispondere, ma hai anche alcuni vantaggi legati al tuo nome, quando ero più giovane ognuno si ricordava di me grazie al mio cognome. La cosa più strana, se vuoi, e che in casa si sentiva davvero pochissima musica e io ho cominciato a studiare musica solamente a quindici anni. Quando ero un ragazzino non mi piaceva la musica e non avrei mai pensato di vivere suonando: é successo tutto all’improvviso, da un giorno all’altro la musica é diventata il centro della mia vita.



JC: Qui a Foligno hai suonato ieri con Francesco Bigoni e Dan Kinzelman e suonerai nel Giovanni Guidi Quintet. Quali sono le tue sensazioni su questo incontro di giovani musicisti europei?


VP: É una grande esperienza. Non c’è nulla di più meraviglioso che incontrare nuovi musicisti e avere la possibilità di suonare con loro. Conosco Dan da un paio di anni e conoscevo già anche Emanuele Maniscalco, il batterista del quintetto. Abbiamo provato un paio di volte, ma solamente con il piano e il sassofono, quindi non so ancora come sarà il suono dell’intero gruppo, ma credo che sarà davvero interessante. Questa é la prima volta che suono fuori dalla Finlandia, da solo; in precedenza, ho suonato all’estero con l’Ilmiliekki Quartet o altre formazioni composte da musicisti finlandesi. In un certo senso, sono al di fuori del mio contesto, in mezzo a musicisti che si conoscono più o meno bene tra di loro: credo che questa sia la maniera migliore per imparare a conoscere una scena musicale e, in questo caso, la scena jazz italiana. Ovviamente, sapevo già che in Italia ci sono bravissimi musicisti e che si suona dell’ottimo jazz, ma é difficile trovare i dischi in Finlandia se non sai cosa devi cercare. In questi giorni, parlando con i ragazzi, confrontandomi con loro, mi sto facendo un’idea più precisa della scena italiana: riesco a collocare meglio i nomi, a capire più velocemente cosa accade, quali sono le ricerche di ciascuno, come contestualizzare i diversi musicisti. L’atmosfera qui a Foligno é molto bella: tutti dicono che il tempo potrebbe essere migliore (nei giorni del festival, inizio giugno 2006, a Foligno ha piovuto per tutto il tempo e la temperatura é stata molto fredda – N.d.T.), ma non importa… l’atmosfera generale, il rapporto tra i musicisti e i ragazzi del festival é fantastico.



JC: Ho letto su internet del lavoro che hai fatto con il tuo quintetto, Verneri Pohjola Quintet plays Miles Davis, e mi dicevi ieri del duo che hai registrato con un batterista. Puoi parlarci di questi due progetti e degli altri progetti a cui stai lavorando in Finlandia?


VP: Il lavoro su Miles Davis é stato il primo progetto su cui ho lavorato quando sono entrato nella Sibelius Academy. Non é stato un progetto che ho portato avanti nel corso degli anni, tanto che non ho suonato, poi, nel corso della mia carriera molte volte brani di Miles Davis. Quest’anno, la direzione artistica dell’Helsinki Festival mi ha chiesto un concerto su Miles Davis che é andato molto bene. Amo la musica di Miles Davis e ho avuto la fortuna di poter scegliere liberamente i brani da proporre: mi sono mosso sui brani di Filles de Kilimanjaro, ho scelto un brano da Seven steps to heaven, So Near, So Far… e, dal momento che l’organizzazione del festival mi ha chiesto di inserire qualcosa da Kind of Blue, abbiamo suonato anche So What e abbiamo eseguito anche Walking, un brano celeberrimo. Il progetto in duo é completamente differente: é un progetto che é scaturito totalmente dalle nostre idee. Il batterista Joonas Riippa e io abbiamo suonato insieme in diverse situazioni e abbiamo parlato per due anni di un possibile progetto in duo, senza fissare scadenze o sedute di registrazione. In qualche modo, lo staff della Ilma Records, una nuova etichetta discografica finlandese (Ilma, in finlandese, significa aria – N.d.T.), ha saputo di questa nostra idea e si sono appassionati al progetto tanto che il disco sarà il primo disco che pubblicheranno. Anche noi siamo molto presi da queste nostro lavoro: é una delle cose più strane che abbiamo mai realizzato, non so spiegarti esattamente cosa succede nel disco, dovresti sentirlo. Molta della musica presente nel disco non viene prodotta da tromba e batteria, che sono i nostri strumenti principali: io suono moltissime percussioni e le tastiere e Joonas suona anche alcuni strumenti a fiato ed entrambi suoniamo il violino. Si basa tutto sulla possibilità di creare musica che risponda alle nostre emozioni con gli strumenti che normalmente non puoi suonare. É una cosa che mi ha sempre affascinato: poter prendere in mano uno strumento totalmente nuovo per me e riuscire a trarne qualcosa in più che del semplice rumore, qualcosa che esprima uno stato d’animo, che sia bello, aggressivo, qualcosa che, in ogni caso, rappresenti un’emozione. Ci sono molti progetti in corso: la prossima settimana, suonerò con Anthony Braxton che sarà in Finlandia per suonare con alcuni musicisti finlandesi e sono stato davvero molto fortunato ad essere stato chiamato a suonare con loro. É davvero un buon periodo per me, stanno succedendo diverse cose belle, dall’invito a suonare qui a Foligno alla possibilità di suonare con Braxton. Infine a novembre suonerò con l’UMO Jazz Orchestra al Tampere Jazz Happening in un concerto basato su della nuova musica che Iro Haarla ha composto per l’orchestra.