Finnish Jazz. Intervista. Emma Salokoski

Foto: Fabio Ciminiera










Intervista a Emma Salokoski


Recensione a Kaksi Mannerta

Jazz Convention: Cominciamo con Kaksi Mannerta… cominciamo con il presentare la band e la musica che avete suonato in questo disco…


Emma Salokoski: Il gruppo si chiama Emma Salokoski Ensemble e abbiamo cominciato come trio, voce, basso e chitarra. Quando, poi, il gruppo ha cominciato ha sviluppare il proprio suono e abbiamo cominciato a scrivere canzoni nuove, a partire dalle nostre influenze, abbiamo aggiunto Marko Timonen, batterista e percussionista, e il pianista Tuomo Prättälä. Nel nostro gruppo abbiamo davvero diverse influenze: il nostro bassista, Lauri Parra, ad esempio, suona in una heavy metal band, gli Stratovarius.



JC: Nei vostri brani si avverte una forte influenza della bossa nova e dei suoni brasiliani ed è presente l’influenza della musica finlandese; inoltre, i testi sono in finlandese. Parliamo del suono particolare dell’Emma Salokoski Ensemble.


ES: In Finlandia, abbiamo avuto una lunga tradizione intorno al tango che, come tutti sanno, è una musica che proviene dall’Argentina. Noi abbiamo integrato il tango nella nostra musica popolare, in modo talmente forte che molti finlandesi pensano sia una nostra musica. Ci sono molti ottimi compositori di tango in Finlandia, orientati, forse, verso uno stile un po’ retrò, ma ci sono dei brani davvero belli di tango composti da musicisti finlandesi. Ci siamo detti: “;Perché non usiamo la bossa nova come il tango finlandese?”;. Nel senso che abbiamo cercato di combinare la malinconia delle melodie finlandesi alla spensieratezza dei suoni brasiliani, alla gioia e al ritmo del Brasile. Da quel momento abbiamo sviluppato alcuni brani finlandesi per realizzare questo strano ibrido…



JC: In questo senso si devono intendere brani più ispirati alla tradizione finlandese come Kaksi Mannerta…


ES: Kaksi Mannerta significa due continenti e il nostro intento è proprio quello di combinare i suoni malinconici della Finlandia con il sole, la gioia e tutto l’immaginario che proviene dalla musica brasiliana.



JC: Tu hai parlato spesso di malinconia nella musica finlandese e, volendo, si può realizzare un parallelo con la saudade, tanto presente nella musica brasiliana.


ES: Questo è uno degli elementi che ci ha permesso di combinare, di creare un ponte tra i due continenti. Sono sempre stata affascinata da questo aspetto della musica brasiliana: l’incredibile gioia, l’energia, una straordinaria celebrazione della vita e, allo stesso tempo, la grande tristezza, i sentimenti malinconici… nella musica finlandese, purtroppo, prevale spesso la tristezza.



JC: Nel disco hai registrato anche un brano di Beck e un brano, Sua Jos Aattelen, dalla chiara matrice afrocubana, molto vicina al Buena Vista Social Club. Parliamo anche di queste due influenze.


ES: Sua Jos Aattelen è stato uno dei primi brani di cui ho composto sia le parole che la musica. Se si vuole, è una sorta di pastiche: siamo partiti dal tango finlandese per dirigerci verso lo stile del Buena Vista Social Club: amo Ibrahim Ferrer, il suono morbido e acustico della sua musica, ma anche aspro, allo stesso tempo, e abbiamo voluto avvicinare quel tipo di suono.



JC: E il brano di Beck?


ES: Amo moltissimo la musica di Beck. In generale amo moltissimi generi di musica, indie, pop, rock, e Beck è uno dei miei musicisti preferiti. Inoltre, questa canzone ha una forte carica emotiva, un andamento ipnotico. Il testo originale di Nobody’s fault but my own è fortemente criptico, in pratica, è impossibile capire cosa Beck voglia effettivamente dire. Il testo che ho scritto. in finlandese, più che una traduzione, è ispirato dalla canzone, dalle emozioni della canzone.



JC: Parliamo del fatto che tu utilizzi il finlandese in tutte le canzoni, nelle diverse situazioni sonore di cui abbiamo parlato. Quali sono state, di volta in volta, le difficoltà che hai incontrato? Ovviamente, d’altro canto, c’è il vantaggio dell’immediatezza di usare la tua lingua…


ES: Ho cantato molto spesso in inglese: è un linguaggio universale, compreso in ogni nazione, e scorre molto bene con la musica. Per molto tempo, ho creduto che non avrei mai composto un brano o cantato in finlandese, perché è davvero difficile: sia per le vocali finali, sia per il ritmo interno delle parole, difficili da far scorrere e da disporre all’interno dei versi. Ma, dopo aver cantato in inglese per molto tempo, ho sentito che c’era sempre un livello, una profondità che non riuscivo a raggiungere, proprio perché non è la mia lingua. Scrivendo i testi in inglese, non riuscivo ad esprimere tutte le sfumature che volevo mettere in risalto. Il finlandese è la mia lingua: ci sono tantissimi livelli che puoi esprimere, sia quando scrivi un testo che quando lo interpreti, e che il pubblico avverte. Per questo motivo ho cominciato a scrivere i testi in finlandese: è una sfida, ma sta dando i suoi frutti, perché puoi veramente andare profondamente all’interno dell canzoni, delle storie delle canzoni.



JC: Ho visto il concerto che hai tenuto ieri sera all’April Jazz Festival: la differenza più grande che ho notato tra il disco e il concerto è la maggiore intensità, la forza dell’interpretazione, con la quale eseguite il repertorio. Ovviamente c’è stata un’evoluzione nella vostra musica dalla registrazione del disco.


ES: È vero, è passato molto tempo dalla registrazione del disco e, prima di entrare in studio, non avevamo suonato molto i brani. Succede sempre così: quando suoni le canzoni dal vivo, le canzoni diventano vive, prendono delle emozioni diverse, grazie alla presenza del pubblico. Emozioni totalmente diverse da quelle che puoi sentire in studio o a casa, quando provi i brani. Ovviamente riesci a divertirti quando suoni in studio, ma la presenza del pubblico, il fatto che sentano il brano nel momento in cui lo suoni, mi da una carica molto forte. In effetti, c’è stata una grande evoluzione sia nel mio approccio che in quello del gruppo da quando abbiamo registrato il disco: questo è il nostro primo album e, quando siamo entrati in studio, avevamo appena inserito il batterista nel nostro gruppo. Ora abbiamo suonato dal vivo per un anno e mezzo e la nostra comunicazione si è sviluppata moltissimo e credo che si sentirà moltissimo nel nostro prossimo lavoro: siamo molto cresciuti come band, non siamo più dei musicisti che si incontrano in studio.



JC: In effetti, il disco ha un’atmosfera delicata, mentre nel concerto, pur mantenendo il carattere delicato ed elegante, passa molto di più la forza dell’interpretazione…


ES: In parte, questo dipende da aspetti tecnici. Io, in passato, ho avuto diversi problemi nel mio modo di cantare: non avevo la forza di convogliare le emozioni, soprattutto le più forti. Ho cominciato a lavorare su una nuova tecnica, a studiare quest’approccio chiamato Complete Vocal Technique: in pratica, ora la mia voce a disposizione molti più strumenti per esprimere le emozioni, nuove maniere per rendere al meglio le storie delle canzoni. Sono molto contenta di questo: prima dovevo cantare solo in determinati modi, in modo bello e aggraziato, perché la mia voce era troppo debole e questo era bello ma era anche un limite. Ora ho molte altre sfumature che posso utilizzare e continuo a studiare e a praticare nuove possibilità per la mia voce.



JC: Parliamo degli altri gruppi che ti vedono coinvolta, in particolare la Don Johnson Big Band e il collettivo Q-Continuum.


ES: Il Collettivo Q-Continuum è un gruppo di musicisti di Helsinki: tutto è cominciato con il gruppo Quintessence, nel quale cantavo e proponevamo musica originale, composta insieme da tutti noi. Abbiamo registrato due dischi e il gruppo continua ancora ad esibirsi e c’è sicuramente in programma di realizzare un terzo cd. La musica di Quintessence è una musica molto potente che si sviluppa in direzioni diverse: ci sono tre cantanti e canta anche il tastierista Tuomo Prättälä e questo aiuta a creare situazioni diverse, con le stesse persone. Il disco dei Q-Continuum, in un certo senso, può essere inteso come una jam session che si sviluppa verso qualcosa di folle, fuori dalle regole. Il nostro pianista Tuomo Prättälä ha appena inciso il suo disco da solista, Tuomo, un disco di retro-soul, un album con molte belle canzoni. È un collettivo molto unito e attivo, con molti buoni musicisti che producono dischi interessanti e, spesso, anche molto diversi tra loro. La Don Johnson Big Band è una cosa diversa, anche se poi sono molto legati al Q-Continuum: i musicisti si conoscono tra loro e spesso capita che gli uni partecipino ai concerti e alle registrazioni degli altri… La Don Johnson Big Band ha realizzato tre dischi ed è molto conosciuta in Finlandia: ha raggiunto il disco di platino ed hanno tenuto moltissimi grandi concerti. Appena ne ho l’occasione, sono ospite nei loro concerti e ho cantato alcuni brani nel loro disco.



JC: Una cosa che mi ha colpito leggendo la tua biografia, è il fatto che tu abbia studiato e lavorato come attrice.


ES: Ho studiato teatro musicale a Stoccolma: cantare, danzare e recitare allo stesso tempo. Ho dovuto studiare quelle materie, perchè pensavo di averne bisogno nei concerti dal vivo come cantante. Ho studiato teatro musicale, per un anno, e ho avuto anche una parte in un film. A un certo punto mi sono resa conto, lavorando nel teatro, che il mio interesse principale, la mia passione è la musica: recitare è bello, ma non è una passione così forte e mi sentivo in difficoltà a dover fare, all’improvviso, qualcosa che qualcun’altro mi aveva detto di fare. oppure entrare in un ruolo e dire determinate cose, provare certe emozioni… voglio essere me stessa e con la musica mi riesce meglio…



JC: Quali sono i riflessi di questa esperienza sul tuo modo di cantare, di stare sul palco?


ES: In un certo senso, tutto questo si riflette sul modo in cui penso al testo delle canzoni: quando cominci a recitare, scavi molto più in profondità sul significato delle parole, crei delle storie intorno al testo, pensi al personaggio che canta o racconta la storia, al significato stesso della storia. E questa è una strada che seguo nel mio modo di pensare la musica e di interpretare i brani, nel modo di cantare: ogni volta che scrivo una nuova canzone, questa comincia in modo automatico a vivere una sua vita, comincio ad immaginare storie intorno alle parole del testo. Sento che, in questo modo, l’interpretazione diventa più ricca, avendo tutte queste storie nella mia testa e, quando sono in concerto, non sto solamente facendo musica, ma racconto anche delle storie e mi piace combinare questi due aspetti nella mia interpretazione.



JC: Il tuo punto di vista sulla scena jazz finlandese.


ES: È una scena affascinante: il nostro è un piccolo paese, che ovviamente non ha un grande pubblico per il jazz, ma abbiamo moltissimi musicisti jazz di talento e qui viene fatta molta musica innovativa. In un certo senso, è una piccola meraviglia ed è davvero intrigante essere un jazzista in un paese così piccolo come il nostro: sono davvero ammirata dalle cose che fanno i nostri musicisti in Finlandia.