Foto: Archivio Fabio Ciminiera
Summertime 2022
È finalmente ritornato il grande jazz nel ricco cartellone estivo che ha caratterizzato il programma musicale romano, con eventi interessanti quasi tutte le sere per la gioia dei numerosi appassionati che hanno affollato i vari appuntamenti. Una bella e varia combinazione tra vecchie e nuove sonorità, con i grandi nomi internazionali che, cadute le ultime limitazioni, hanno potuto così recuperare gli spettacoli saltati negli ultimi due anni. Così ha fatto uno degli ultimi testimoni dell’epoca d’oro del jazz rimasti in attività, il pianista Herbie Hancock, che a metà luglio è stato protagonista all’Auditorium Parco della Musica presentandosi a capo di una super band con ha per solista l’acclamato trombettista e compositore Terence Blanchard. Per questo tour mondiale, quella che fu negli anni ’60 una colonna della Blue Note ha voluto invece concentrarsi sul periodo più elettrico del decennio successivo, caratterizzato dall’uscita dell’album Head Hunters e l’abbandono degli strumenti acustici. Un lungo medley funk fa da apertura al concerto, con i suoni che si fanno fin da subito acidi e che non abbandoneranno il pubblico per il resto della serata, con un Hancock in forma splendida che ben presto lascerà il pianoforte in favore di tastiere e Fender Rhodes. Un repertorio facile e senza sorprese che spazia da Actual Proof alla conclusiva Chameleon, dove le cose migliori rimangono la dedica al grande amico e collega Wayne Shorter con la sua celeberrima Footprints, e il sempre originale fraseggio del chitarrista africano Lionel Loueke. Un po’ poco vista la caratura del musicista e del suo quintetto, ma forse anche una scelta inevitabile per chi ha adesso soltanto voglia di godersi il calore del suo pubblico dopo anni passati a innovare e influenzare la musica attraverso il suo lavoro.
Protagonista dell’estate, come ormai da piacevole tradizione, la programmazione della Casa del Jazz ha visto, per più di un mese e mezzo, abbondare nomi di assoluto valore, con un occhio particolare alle nuove tendenze della musica nera. Particolarmente attesa la data del gruppo inglese Sons of Kemet, capitanato dal lanciatissimo sassofonista Shabaka Hutchings. Un quartetto che incide ormai stabilmente per la Impulse Records e che vede nell’insolita formazione due batterie e, oltre al tenore del leader, la tuba di Theon Cross. Una musica che si rifà alla New Thing degli anni ’70 ma attualizzata dalle contaminazioni più moderne provenienti dall’elettronica, dal dub e dalle suggestioni africane. I quattro spingono a tutta dall’inizio alla fine guidati dalle lunghe e impetuose improvvisazioni di Shabaka che trainano l’insieme entusiasmando il numerosissimo pubblico presente. Cross conferisce una nuova attualità ad uno strumento oggi poco usato e anche le due batterie, robuste ma mai di troppo, sono ben amalgamate in una complessità che convince e non delude le aspettative, anche se non avrebbero guastato affatto più momenti di stacco e di respiro, come i brevi momenti in solo di flauto o di tuba.
Belle atmosfere anche quelle del cosmopolita trio guidato da Tigran Hamasyan che, con il contrabbasso di Matt Brewer e la batteria di Damion Reid, ha reinterpretato a suo modo alcuni noti standard. La scaletta riprende quella del nuovo album uscito quest’anno per l’etichetta Nonesuch dal titolo StanrdArt e vede il pianista armeno partire dai temi popolari per conferire ai brani subito una nuova veste, diretta e asciutta, portandoli nel suo terreno preferito che attraversa i confini tra jazz, musica classica, folk e new age. Un nuovo modo di rileggere i classici con gran classe e senza fronzoli, sorretto da un interplay sopraffino.
Classe e delicatezza hanno anche contraddistinto il nuovo incontro tra il trombettista Paolo Fresu ed il violoncellista brasiliano Jaques Morelenbaum, in un trio questa volta completato dal pianoforte di Rita Marcotulli. Un ritorno, dopo il successo di tre anni fa con il bandoneon di Daniele di Bonaventura, e un repertorio non troppo differente, con diversi omaggi ai compositori sudamericani e qui con l’aggiunta di qualche brano firmato dalla Marcotulli, che comunque sprigiona eleganza e bellezza ad ogni passaggio nonostante fosse soltanto la seconda data di questa formazione.
Un’edizione, quella del Summertime 2022, davvero convincente sotto diversi punti di vista, con un’attenzione verso i più interessanti artisti contemporanei, tra i quali hanno convinto anche le esibizioni del quartetto di Makaya McCraven e della sassofonista britannica Nubya Garcia, che ha portato finalmente a partecipare in gran numero un pubblico giovane e interessato; il tutto, con coraggio, senza mai abbassare la qualità della proposta, il segnale più bello e significativo di una attesa stagione per tanti aspetti da ricordare.
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